Di storie d’amore finite male se ne tramandano tante ma una delle più antiche e commoventi è quella tra Aci e Galatea, terminata con il giovane amante schiacciato da un masso scagliato dal ciclope Polifemo, geloso della ninfa del mare. Galatea però, con le lacrime del suo dolore, trasformò il corpo di Aci in un fiume. Dalla mitologia al contemporaneo, a distanza di epoche e culture, la vicenda si trasforma ancora una volta, diventando colore, forma, gesto, nelle opere di Danny Avidan, in mostra da Tube Culture Hall, spazio aperto nel novembre 2020, sotto la superficie della famosa Piazza XXV Aprile, a Milano.
Curata da Domenico De Chirico, “The Tragedy of Acis and Galatea”, la mostra è stata organizzata in collaborazione con la galleria romana Andrea Festa Fine Art ed è la prima personale dell’artista giamaicano d’origine ma italiano d’adozione, classe 1989. Dopo la formazione alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme, Avidan attualmente vive e lavora tra Berlino e Pesaro. Tra le sue mostre ricordiamo due solo show presso Bark Gallery, a Berlino, e le sue collettive a Roma Arte in Nuvola e da Andrea Festa Fine Art, a Roma nel 2021, oltre che a Barcelona e Tel-Aviv. Giovedì, 29 settembre, alle 18:30, Avidan e De Chirico saranno ospiti in galleria per un talk, durante il quale si approfondiranno il lavoro e la ricerca dell’artista.
«Questa mostra inizia con il naso. Un naso altamente percettivo e filosofico da intendersi come senso supremo della conoscenza intuitiva», scrive De Chirico nel suo testo critico. «Un naso nietzschiano, celebrato con l’asserzione «il mio genio è nel mio naso», un naso che diviene formidabile alleato della verità e che è in grado di sondare anime e cuori, che cerca e annusa, scopre e ritrova, si eccita e si spaventa, ulula e si assopisce tra resti organici al contempo fervidi e fetidi, poiché ogni cellula, ogni atomo dell’essere sussurra la vita e dunque la morte, la vita e i suoi sogni, le speranze, i primordi e i desideri, gli amori e i flagelli, i fiumi e le sabbie, l’umido e l’arido, il mondo. È da un tale approccio induttivo che queste tele si dipanano, un percorso che va dalla più piccola cellula dell’essere fino a costruzioni mitologiche rarefatte che non sono altro se non un ritorno al punto di partenza, ciclo di vita, sussurri e grida, artefatti atavici che parlano la lingua del sangue e giocano con le emozioni più recondite e originarie. Un dualismo processuale dunque, viscerale e intellettuale, impulsivo e storiografico, un andirivieni che tuttavia inizia dalle macerie organiche per poi farvi ritorno incessantemente».
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