L’uovo è perfetto, levigato quanto poroso. L’involucro in vetroresina riflette un mantello di sabbia blu. Ha un’unica crepa da cui sbucano teste d’oca dorate, pronte alla nascita o alla fuga. «La Natura non ha più il suo ciclo. È modificata, manipolata geneticamente». Non ricordo chi dei due fratelli Lucio e Giuseppe Perone abbia detto questa frase. Giocano a confonderti, Ray-Ban identiche e braccia conserte, in posa accanto all’opera. E sfruttando le linee perfettamente simmetriche, parallele dei loro volti che la natura gli ha donato. Un primo saggio di perfezione mimetica. Un po’ un destino dunque, che toccherà ai due artisti nati e cresciuti a Rotondi, piccolo paese dell’Irpinia caudina che corre lungo la lingua di terra stretta tra i monti Partenio e Taburno e che ha accolto le esperienze artistiche di Eugenio Giliberti, Umberto Manzo, Perino&Vele e Luigi Mainolfi.
Magia, miracolo estetico, magari semplice allocazione. Eppure, in Via Varco, strada fuori dal centro di Rotondi, è successo qualcosa di bello e inspiegabile, in fondo. Qualcosa che unisce più individui nella pratica dell’arte, della ricerca e della sperimentazione, in un territorio in cui la natura si mostra “prepotente”, assertiva, che non accetta compromessi di sorta. Una modalità che i fratelli Perone, formatisi entrambi all’Accademia di Belle Arti di Napoli e che hanno esposto in tutta Italia e nel mondo (Sarajevo, Bruxelles, Pechino, Amman, Seattle), in modo spontaneo e creativo hanno cercato di assorbire e restituire sotto forma di figure, simboli e idee.
E proprio grazie a questa visione di guscio, di vuoto e pieno, di pregno o cavo, che si preannuncia quell’eccedere, quel trasbordare della natura tipica dei Perone. E solo apparentemente vi è qualcosa di contraddittorio nella location scelta di Villa Fiorella, elegante struttura in bianco panna degli anni ’60. Aggrappata ai costoni della penisola sorrentina, con un giardino, un frantoio, una cantina, un pergolato, il mare e i tramonti a fare da sfondo oleografico, essa esprime una semplicità tipica di certe dimore nobili di campagna, essenziali e fruttuose in ogni angolo e mattone.
E questo incontro sapido avviene perché il giovane patron Alberto Colonna, che ha coniugato le passioni e le responsabilità di famiglia (il collezionismo d’arte e l’hotellerie), coglie il senso recondito e spesso dimenticato dell’arte. Il porsi domande, questioni, accettarne le riflessioni e i dubbi che essa pone. E da tante angolazioni.
Qui i colori vivi ed essenziali della macchia mediterranea non assumono solo la forma dei pannelli di sabbia e cemento di Sasà Giusto, del muscoloso rinoceronte di Davide Rivalta, dei legni portati dal mare e dipinti da Carmine Rezzuti o dei delicati oli e tempere di Takeo Hanazawa. Prima dell’ingresso dei due fratelli artisti di Rotondi qui la natura ha già assunto caratteri sperimentali e ricercati. Qui il verde degli ulivi, il rosso degli ortaggi, il bianco dei formaggi, il blu del mare e dei suoi frutti, assurgono, come tempere su di una tavolozza imbandita, a dignità d’arte, seduttiva e irresistibile per i nostri sensi e la nostra mente.
Quegli stessi colori madre che i fratelli Perone riconducono nel loro concerto di forme e simbologie, quel bianco, blu, rosso, nero, che nonostante i materiali industriali muovono tecniche antiche, antichissime (stampi, controstampi, colate di bronzo, modelli in gesso) restituendone una natura artificiale e artificiosa, ora lucente e artefatta, ora sabbiata e imitativa. La nuova sfida di un’operazione monumentale (dopo Ombre al Campus universitario di Fisciano, l’Artista Invisibile a Piazza Castello a Mantova, Sogno dell’emigrante e Lasciatemi pensare a Rotondi etc..) permette ai Perone di stabilire, tra siepi, scalinate e cancellate della Villa, un micromondo a sé, un ordine asistematico, contraddittorio e controfattuale.
C’è chi negli anni ha citato Magritte, Rauschenberg, Paul Klee, chi ha raccontato di “grazia scanzonata”, di “allegorie pop e ludiche”, di “iconografie rurali e animalistiche”, tentando in tutti i modi di afferrarli, di ancorarli a qualche regione del reale. Ma i lavori dei fratelli Perone giocano costantemente sull’onda di una Natura accelerata e translitterata, che si svela e si rilegge, si ricrea e si riformula ogni volta. Levigata e resa lucente (Lucio), opacizzata e sedimentata (Giuseppe), a cui si sentono di appartenere e da cui non hanno mai voluto separarsi. Qui le oche che esplorano, colonizzano, covano nella nostra realtà (Senza Titolo, vetroresina, sabbia, vernice industriale – 2018) raccontano il sogno di ogni artista: il potere della schiusa, della vita e della ciclicità. Così come la sabbia poggiatasi su quelle ali a riposo, (Custodi, sedie acciaio vetroresina sabbia – 2014), così simile alle scaglie di polvere su ali di farfalla o alla preziosa “patina del tempo” di Brandi, che protegge e occlude, ingolfa ogni nostra velleità personale ma ne svela il potere di immaginazione infinito. E quanto sarebbe magnifico se realmente una morsa (Senza Titolo, vetroresina, pvc e vernice industriale – 2008) potesse comprimere con una forza infinita di serraggio il volume insostenibile di ogni nostra interiorità verbosa, prolissa e solipsistica. Sarebbe capace di spazzare via ogni peso d’esistenza, grave e gravosa per tutti, pur senza alcuna legge di gravità esistente.
E infine la costrizione più antica, quella di una sagoma avvinta al proprio tratto, alla propria stringa, all’unico dono concessogli, la propria potenza intellettiva e creativa (Senza Titolo, vetroresina e vernice industriale – 2016). La più grande dannazione ma anche la più grande responsabilità.
E così per i Perone la missione di ripercorrere a ritroso quei sentieri e quei sapori della scoperta e del gioco fanciulleschi, tra la natura e i suoi misteri, i suoi doni e i suoi insegnamenti sembra prendere forma tra questi alberi e questi declivi. Ma sapremo decifrare quei messaggi scritti con la colla industriale? Sciogliere quegli enigmi in pvc? Ammirare le linee in vetroresina? Siamo pronti ad accettare la nostra natura artificiale? Il nostro essere scisso tra l’arcadia di questa terra e il metaverso del nostro pensiero?
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