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Un’arte pubblica rivoluzionaria: a Franco Mazzucchelli il Premio d’Andrade
Arte contemporanea
di redazione
Negli anni ’60, lasciava le sue opere negli spazi aperti, sulle spiagge, davanti alle fabbriche, nelle zone periferiche, le abbandonava letteralmente al mondo, alle persone, agli eventi, al caso, a ciò che poteva accadere, di più o meno pensabile, a leggere sculture gonfiabili dalle forme complesse ed enigmatiche. Tra gli artisti italiani più rivoluzionari, Franco Mazzucchelli è un precursore dell’arte nello spazio pubblico, all’intersezione tra ambiente, individuo e oggetto, e oggi, alla sua ricerca, è stato tributato il “Premio alla Carriera Alfredo d’Andrade Prize 2022 in defense of Cultural Heritages Values”, «Per il Valore civico, sociale e inclusivo del suo gesto artistico».
Precedentemente assegnato a personalità quali Michele De Lucchi e Giulio Paolini, il premio è stato istituito nel 2015, per celebrare il ricordo di Alfredo d’Andrade, architetto, archeologo e pittore del XIX secolo, che progettò, tra l’altro, il Castello di Pavone e il Borgo del Valentino per l’Esposizione Universale nel 1884. «Continuando nell’opera di valorizzare l’importante eredità culturale di Alfredo d’Andrade, la Commissione artistica ha accolto la candidatura proposta dal curatore Sabino Maria Frassà e assegnato il Premio “Alfredo d’Andrade Prize in defense of Cultural Heritages Values” del 2022 a Franco Mazzucchelli per il forte valore civico, sociale e inclusivo del suo gesto artistico», ha spiegato Maria Aprile, Presidente dell’Associazione Alfredo D’Andrade per la Cultura del Bello.
Nato a Milano, il 24 gennaio 1939, conosciuto anche come il “Maestro del PVC”, Mazzucchelli sin dagli anni ’60 «Si è mosso per rendere l’arte accessibile e fruibile a tutti e ovunque nel mondo», ha continuato Aprile. «Negli anni Franco Mazzucchelli non ha mai smesso di farci riflettere con la sua arte gonfiabile su temi cogenti relativi allo sviluppo del mondo contemporaneo: dall’impatto ambientale con le sue opere REC alla rimarginazione urbana con la performance SALVAMI – Andata e Ritorno. Siamo perciò felici di seguire l’esempio di istituzioni internazionali del calibro del Museo del Novecento di Milano e del Centre Pompidou di Parigi nel celebrare oggi la bontà e genialità della sua rivoluzione artistica».
Dopo il diploma in pittura nel 1963 e in scultura nel 1966, Mazzucchelli ha insegnato per oltre 30 anni all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha partecipato a mostre internazionali tra cui la 37ma Biennale di Venezia, nel 1976, la 11ma Biennale di San Paolo e la 10ma e 11ma Quadriennale di Roma. Nel 2018 il Museo del Novecento di Milano gli ha dedicato una grande mostra personale “Non ti abbandonerò mai”, con catalogo ragionato a cura di Sabino Maria Frassà e Iolanda Ratti. In questa occasione, venivano raccontate le “Azioni” con cui l’artista, tra il 1964 e il 1979, esprimeva la propria insofferenza – sempre velata di una certa ironia – nei confronti del meccanismo di mercificazione esasperata dell’arte contemporanea.
«Società, aria e memoria, sono i codici concettuali sottesi di Mazzucchelli, investigati attraverso i materiali plastici: la “pelle” della società dei consumi, artificiale e naturale insieme, come strumento di “scultura sociale”, a partire dal 1964 con la serie di Abbandoni, grandi sculture in Pvc, disseminate in diversi luoghi urbani, azioni performative che negli anni Settanta vengono definite ATOA art to abandon», scrivevamo nella nostra recensione. «Questa sigla gioca sulla interpretazione in lingua francese della frase, in cui si sottende à toi, a te/per te, un’attitudine partecipativa del lavoro pubblico dell’artista come agitatore che innesca processi relazionali tra l’opera, il pubblico e il luogo in cui si generano in maniera spontanea e casuale».
Il premio è stato consegnato a Mazzucchelli da Sabino Maria Frassà, in occasione di una cerimonia svoltasi oggi, 15 novembre, presso il Circolo dei Lettori di Torino in occasione della XIX Edizione della Rassegna “IL FILO DI ARIANNA – Arte come Identità Culturale”. Il premio è rappresentato da un fregio in ceramica, opera del maestro ceramista di Castellamonte Brenno Pesci, tratto dai decori artistici che si trovano nel secondo cortile interno del Castello di Pavone Canavese, edificio ristrutturato e abitato da Alfredo d’Andrade, dove l’architetto è sepolto insieme alla moglie, Costanza Brocchi.