«Da piccola, prima di concedermi al sonno, come una preghiera, mi concentravo sull’immaginare di stare davanti ad un pianeta, per esempio Giove, e visualizzare quanto esso sia enorme in confronto al mio corpo minuscolo. Stavo davanti a questa massa infinitamente grande, provando ad immaginarmi come se fossi stata lì, e sentivo un’espansione paradossale, il mio corpo e la mia mente si commuovevano. La pittura per me è un altro modo di esplorare questo “esercizio”».
È con queste parole che Anastasiya Parvanova (1990, Burgas, Bulgaria) ci introduce al cosmo incantato di Sidereal Messenger, la personale dell’artista visitabile presso la galleria AplusA di Venezia.
Quella che qui ha preso dimora è un’esposizione complessa, stratificata, in cui l’artista ci trasporta di fronte all’infinitamente grande, ma senza mai tralasciare l’infinitamente piccolo. Qui, la pittrice bulgara va a creare un teatro luminoso dove spuntano funghi dalle spore dorate e dove germogliano creature mostruose, messaggeri delle leggi astrali.
La vetrina della galleria, incastonata tra le calli di Venezia, diventa così un portale segreto, sul quale regna sovrano un airone dalla coda trapuntata di costellazioni, solo la prima di una numerosa serie di creature mistiche che ci accompagnano nel percorso.
A seguire: un delicato Fragola Octopus in ceramica, il volto di una donna che dorme tra la vegetazione variopinta, le falene rosa di Sunlight Whispering Slumber.E poi ancora: le zampe azzurro acceso e la coda-scettro del grifone al centro dell’opera Guardians of the Silent Sands, un’opera preziosa per capire a pieno la mostra. Qui, infatti, figure arcaiche, genii loci, si stagliano su un panorama desertico, che ci rimanda a pianeti lontani e a concetti di astrofisica. Dunque: spirito e scienza, due elementi che non si escludono a vicenda, ma anzi si fanno complementari.
La sabbia, poi, è un elemento essenziale per Anastasiya, essendo un materiale che dimostra alla perfezione come tutto, lentamente, tenda a disgregarsi e a livellarsi sotto la pressione di trazioni invisibili.
Questo percorso in bilico tra fisica e poesia continua il suo tracciato al piano superiore della galleria, dove si può fare la conoscenza, tra l’altro, del Giardiniere del sole, che riversa gocce di calda luce attorno a sé: si tratta di uno spirito divino o della personificazione di forze fisiche, palpabili? Per la Parvanova non sembra esserci poi tutta questa differenza: la scienza è una «religione cosmica», ma priva di quei dogmi che ci impediscono di cambiare, di ricercare nuove vie.
Nella stessa sala, il grazioso lino Ero un manto verde ci introduce al tema della botanica, che si fa preponderante nell’ultima stanza dell’esposizione. Qui, nella grande tela Radici (Fili, ife e grifi), l’artistarappresenta un luminoso reticolato di ife, vale a dire quei filamenti carnosi che, uno di fianco all’altro, vanno a formare il corpo del fungo e che ad esso permettono la comunicazione. È senza dubbio impressionante quanto queste cannule vegetali assomiglino alle reti neuronali che si stratificano nei nostri cervelli; un concetto, questo, che si fa esplicito nei due Fiori stratosferici che concludono la mostra. Queste due opere, in ceramica l’una e in matita su carta l’altra, altro non sono che il ritratto di un pensiero filamentoso, che cresce come un fiore verso il cosmo.
Ogni lavoro esposto, dunque, può essere visto come un portale cangiante, che porta verso l’esterno, ma anche verso la nostra interiorità. Questa idea di portale viene accentuata dall’allestimento stesso della mostra: sul pavimento della galleria hanno trovato posto stralci di tela colorata disposti in sinuosi sentieri che ci trasportano dentro ogni opera, dove si concretizza quella visione di cui parla l’artista quando scrive: «Attraverso i miei dipinti crittografo il mio mondo utopico, così come lo comprendo e lo desidero io».
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