Per metà un volto di Vergine, per metà una cavità irregolare. Per metà un’opera di Salvi, per metà una di Samorì. È l’immagine scelta come copertina della mostra Salvifica un serrato confronto tra i due artisti, che quest’anno apre la settantunesima edizione del longevo Premio G. B. Salvi di Sassoferrato. «Se questa è l’insegna della mostra, allora io posso rimettere la mia!» ha esclamato la signora Giovanna Giuliani, Gianna per gli amici, il giorno d’ouverture di “Salvifica”, passando in piazza Gramsci dove – oltre che il Mam’s, la Galleria Civica d’Arte Contemporanea “G. B. Salvi” a Palazzo degli Scalzi – si affaccia anche La Bottega del Capello, di cui Gianna, la coiffeuse, è titolare.
Erano tre o quattro anni fa quando Gianna, con estro creativo, decise di realizzare per il proprio salone da parrucchiere un’insegna giocosa: un volto di Vergine sormontato dalla parrucca rosa di Andy Warhol. Come disse Joseph Addison: «Non v’è in natura nulla di più variabile dell’acconciatura di una signora». Non è possibile, dunque, che anche la Signora per eccellenza possa desiderarne una nuova? Un’acconciatura, per così dire, Supera? Una portentosa pettinatura Ulteriore? Tuttavia l’insegna di Gianna fu fatta togliere, poiché ritenuta indecorosa. Spesso si dice che l’arte sia in grado di insinuarsi nella vita di tutti i giorni, sollevando dibattito e risolvendo problemi. Vediamo se potrà farlo anche nel caso delle tre Vergini che, da una parte all’altra del borgo di Sassoferrato, si scrutano diffidenti.
C’è la Vergine del Salvi dalla casta chioma rilucente, che difficilmente abbisognerà di revisioni da coiffeur, eternamente difesa dalla fatalità delle doppie punte. C’è quella di Samorì che – semmai l’accarezzasse il celestial prurito di specchiarsi, avrà già il suo da fare a ritrovarsi in viso – perduto nella raffinatezza della sottrazione, ma che quanto a chioma non può lamentare uno status inferiore alla Sassoferratese. E c’è poi la Vergine alla Warhol, che non soltanto non indossa il velo come le altre Immacolate, ma che osa riportare segni evidenti di vanità: boccoli e parrucca rosa. La sentenza di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi è chiara: la Vergine, così come ogni donna orante, ha da indossare il velo.
A questo punto però, occorre fare un passo indietro, a ricordare la storia della parrucca. Tolti i Romani che le indossarono, alla stregua di Caligola, per inoltrarsi nottetempo nei lupanari, e tolti gli sfarzi imbarocchenti dei posticci riccioli francesi anti-pidocchio, la parrucca fu adottata da grandi civiltà. Assiri, Fenici, Greci, ma soprattutto Egizi. I faraoni, la loro famiglia reale e gli alti ranghi d’intorno indossavano tutti in capo grandiose parrucche che conferivano solennità all’intera persona. Quella stessa solennità cui i magistrati britannici miravano in tribunale, fino a poco tempo fa.
Se si osserva con attenzione l’insegna della signora Gianna, la parrucca rosa shocking della nostra Vergine le conferisce un’aura nuova. Un’aureola Pop, anzi, che certo Warhol non avrebbe disprezzato, avendone collezionate a decine. Quindi, seppure il velo manca, c’è l’autorità di un grande artista a illuminare il capo della terza Vergine. E, se San Paolo è il Censore, Warhol è il nostro paladino della difesa.
D’altronde, che Sante e pii uomini entrino nei tribunali non è cosa inusitata, considerato il processo cui, recentemente, ha deciso di prender parte il papa emerito Benedetto XVI, «Sottoponendosi al giudizio degli uomini prima ancora che a quello di Dio» (Gramellini).
E non si può certo dire che Warhol fosse un miscredente. Da tutti conosciuto come luminosa icona della Popular Art statunitense, egli era un cattolico. Dedito alla filantropia, servitore alla mensa dei poveri, quasi ogni giorno raggiungeva la chiesa di San Vincenzo Ferrer nell’Upper East Side di Manhattan. Sul comodino teneva una chiesetta di gesso, un crocifisso e un libro di preghiere. Sotto la maglietta indossava una catenina con la croce e in tasca aveva un rosario. Non parlò mai di fede in pubblico da buon cristiano, ma fu un silente ed entusiasta evangelizzatore: pagò gli studi in seminario del nipote poi divenuto sacerdote.
Ecco perché l’insegna di Gianna può essere perdonata dai moralisti dell’iconografia sacra e, anzi, rappresentare un soave invito, tinto di conforto Mariano, per tutte quelle donne che, varcando la soglia di un parrucchiere decise a cambiare look – alla vista di forbici, pennelli da tinta e grovigli di ciocche a terra – sono colte da timor panico e vorrebbero scappare, portando le proprie chiome in salvo.
Se c’è una Vergine con parrucca rosa sulla porta del parrucchiere, la nuova acconciatura non potrà che essere plausibilmente…salvifica.
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