“Nelle nostre camere vengono a cadere sfiniti dopo lunghi voli sui mari gli uccelli sconosciuti di lontane regioni”. Questa frase di Giorgio De Chirico, tratta dallo scritto Noi Metafisici (1919) è il degno incipit, riportato sulla porta d’ingresso della galleria Vistamare a Pescara, della mostra “Suoni da un’altra stanza”, curata da Alessandro Rabottini per celebrare i vent’anni di attività di Vistamare, che aprì nel 2001 con la mostra “Camera Italia” a cura di Giacinto di Pietrantonio, dove ogni artista aveva a disposizione una stanza. La proposta di Rabottini invece si è focalizzata sulla trama di relazioni che una galleria costruisce nel tempo con artisti, curatori e collezionisti, con un percorso attraverso sei sale dedicate non a presenze individuali bensì ad altrettanti dialoghi tra artisti di diverse generazioni, in modo da creare un ritmo quasi musicale tra i gli ambienti dell’appartamento dove ha sede la galleria, che conserva ancora la dimensione intima e domestica dei palazzetti di città.
Si tratta, spiega Rabottini, di “artiste e artisti che, negli anni, hanno definito la storia della galleria e contribuito a delinearne orientamenti e visione”. Nella prima stanza il dialogo è affidato a Joseph Kosuth e Rosa Barba, in una dimensione concettuale e vagamente mistica tra parola, luce e movimento , sottolineata dal contrappunto tra la frase in neon di Kosuth, tratta dall’autobiografia di Vladimir Nabokov, e Color Clocks (Yellow) la scultura filmica della Barba che contiene una pellicola in movimento con la parola Yellow, a ricordare il colore giallo del neon di Kosuth che si dipana sulle pareti grigio antracite. Nel grande salone centrale si confrontano quattro opere di Ettore Spalletti con due lavori a parete di Bethan Huws, intitolati A sign is a sign is a sign e composti da due bacheche riempite di ciotoli, le cui sfumature cromatiche ricordano i monocromi di Spalletti, in un cortocircuito tra colore e materia.
Sul filo della musica si gioca il dialogo tra Mario Airò e Armin Linke: Diapason#2 è un’opera composta da 5 lunghi diapason ricoperti di carta assorbente colorata, che si accorda con i due scatti di Linke, che raffigurano sua moglie mentre suona l’arpa e una camera riverberante. Una delle stanze più riuscite mette a confronto due sculture di Haim Steinbach, dall’evidente ispirazione classica, con alcuni ritratti fotografici in bianco e nero di Mimmo Jodice, particolarmente intensi nella loro espressività.
La stessa tensione scaturita dalle strategie della rappresentazione tra realtà e simbolo anima anche l’ultima sala, incentrata sul dialogo, intriso di decadenza, tra le opere simboliche di Jan Vercruysse (cornici d’epoca, specchi e stampe erotiche) e Splendid’s (2013), il video di Anna Franceschini proiettato sul soffitto, che gioca con riflessi e riverberi di luci colorate di un lampadario antico. Meno riuscito il confronto tra le opere di Linda Fregni Nagler e Polys Pelikas, che intrepretano attraverso il mezzo fotografico l’immagine di alcuni bambini ripresi in un ospedale, mentre osservano una fonte luminosa con degli occhiali scuri. Allestita in maniera impeccabile, la mostra documenta la crescita e l’evoluzione di Vistamare attraverso un percorso che privilegia lavori di carattere metafisico e concettuale, dove la dimensione narrativa è ridotta all’essenziale per privilegiare l’importanza dell’opera nella sua unità e sintesi espressiva. Potrebbe sembrare una posizione anacronistica rispetto alla scena contemporanea attuale, ma è un’indubbia garanzia di qualità e di scelte coerenti e rigorose mantenute nel tempo.
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