VITA DULCIS. Il ritorno di Francesco Vezzoli a Roma

di - 22 Maggio 2023

“L’arte classica, più che contemporanea, è presente”, sostiene Francesco Vezzoli, volutamente parafrasando il titolo della nota performance di Marina Abramovic. Nelle vesti di artista/co-curatore con Stéphane Verger -direttore del Museo Nazionale Romano-, racconta della mostra inaugurata al Palazzo delle Esposizioni che, con il neopresidente Marco Delogu, avvia un nuovo corso dell’Azienda Speciale Palaexpo.

VITA DULCIS. Paura e desiderio nell’Impero Romano, prodotta dall’Azienda Speciale Palaexpo con il Museo Nazionale Romano e lo Studio Vezzoli, piuttosto che una mostra, è -per chi scrive- una grande unica opera realizzata dall’artista bresciano. Nella quale amalgama i suoi interessi, le sue passioni, le tematiche che più gli stanno a cuore, fulcro della sua elaborazione artistica. Una maestosa installazione che, dalla Rotonda centrale, tentacolare, si espande nelle successive sei sale circostanti, dando corpo a quei macro-temi ben chiari a Francesco Vezzoli: vita, morte, amore, desiderio, potere, ambiguità (PARA BELLUM, ANIMULA VAGULA BLANDULA, DUX FEMINA FACTI, CERTA OMNIBUS, RIDENTEM DICERE VERUM, UBI POTENTIA REGNAT e MIXTURA DEMENTIAE: questi i titoli delle singole sale, tratti da Vegezio, dall’Historia Augusto, Virgilio, Orazio, Seneca). Temi forse tanto vasti e ordinari che vogliono, però, esaltare la complessità di allora come di oggi. Nel più completo e attento bilanciamento di tutti gli elementi, in una somma di equilibrismi – sempre attingendo alle definizioni di Vezzoli.

Vita Dulcis. Daniele Molajoli
Vita Dulcis. Daniele Molajoli

Equilibrismi anticipati dal titolo stesso della mostra, latinizzazione del titolo del celebre film di Federico Fellini La dolce vita (1960), che preannuncia, cioè, la compresenza di opere di arte contemporanea, di reperti archeologici di arte classica (alcuni mai esposti, selezionati e prelevati dall’artista stesso nei magazzini del Museo Nazionale Romano) e cinema. Anche con l’intenzione di dar corpo a un percorso espositivo diverso da quello “tradizionale” che solitamente è costruito nelle esposizioni archeologiche museali, volendo far avvertire al visitatore quella vitalità e carnalità che caratterizzavano gli anni dell’Impero. Equilibrismi perché, riflesso dell’articolata personalità artistica di Francesco Vezzoli, fonde gli eccessi del kitsch, del camp, senza mai esagerare né banalizzare. Con un allestimento altrettanto potente e suggestivo di Filippo Bisagni, esaltato dalle luci di Luca Bigazzi, che accompagnano oppure sottolineano quanto esposto nelle singole sale (uno su tutti Replica moderna della testa di Marco Aurelio in bronzo, nella sesta sala, col relativo gioco di luce).

Ognuna delle sette (è impossibile non notare immediatamente la simbologia di questo numero) sale, infatti, sviluppa una distinta questione, propria dell’impero, individuata dall’artista, e manifesta il fascino che l’antica Roma ha sempre suscitato. Un interesse simbolicamente traslato con l’esposizione di circa cinquanta lapidi funerarie in marmo, provenienti dai depositi delle Terme di Diocleziano, e sessantanove uteri ex voto. Ovvero: la morte e la vita. Elementi questi che, ovviamente, non sono stati concepiti come oggetti d’arte quando sono stati realizzati, ma la scelta di esporli, in un contesto di mostra, come opere d’arte, in qualche maniera sintetizza l’approccio che Francesco Vezzoli ha nei confronti dell’arte classica. Perché “più uno si avvicina alla cultura dell’antica Roma -afferma­- più uno la de-idealizza”, dato che l’antica Roma era forte, violenta, passionale, vitale, sanguinaria e insanguinata. Pulsioni innate nell’uomo e rimaste immutate nel tempo.

Vita Dulcis. Daniele Molajoli
Vita Dulcis. Daniele Molajoli

Fulcro dell’intera mostra, da dove tutto si irradia e da dove tutto prende l’abbrivo, è la Rotonda nella quale sono state esposte, sopra elevatissimi piedistalli, sei energiche sculture luminose come dei grandi lightbox, parte del progetto 24H Museum (2012). Un percorso, quello di avvicinamento alla classicità, quindi, intrapreso da più di dieci anni, perché in essa c’è del vero, la verità, e con essa si capisce il presente (famosi gli esempi citati da Vezzoli: in Svetonio vede la descrizione di Trump, nei gladiatori gli attuali calciatori). Un approccio che lo stesso Vezzoli definisce “derivativo: cerco di riattivare qualcosa di preesistente, di riconnessione al presente”. Attraverso la classicità cerca, dunque, di innescare quello che gli inglesi chiamano l’“eye contact”. Perciò realizza tali sculture come dei ritratti di diva (come Sharon Stone, Anita Ekberg, Jeanne Moreau) con i corpi di divinità classiche (come Venere, Afrodite, Menade), tutte, però, con gli occhi della madre dell’artista. Così elide il tempo, crea un unico grande presente, legittimando il ruolo fondante, nonché generativo, della donna di tutto il processo.

Aver accompagnato le opere, vuoi classiche che contemporanee, con proiezioni di frammenti estratti da film che hanno non solo segnato la storia del cinema (La calata dei Barbari, Il Gladiatore, Sebastiane, Spartacus, Cleopatra, Cabiria, Fellini Satyricon, Satyricon, Mio figlio Nerone, Nel regno di Roma), ma anche forgiato l’immaginario collettivo circa la visione dell’epoca classica, è sottolineare come il cinema non si sia mai creato il problema del rapporto con la classicità, che, contrariamente, ha fortemente influenzato e condizionato tutte le altre discipline delle arti visive. Disinibizione che lo stesso Vezzoli rivendica nel suo famoso video Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula (2005). Perché quello che auspica l’artista è: “abbiamo un grande patrimonio, è necessario trovare il modo per riattivarlo” (su tutti: la serie dei busti di Antinoo truccati con la celebre saetta di David Bowie), perché in esso ci sono anche le radici della cultura occidentale, nella quale viviamo.

Vita Dulcis. Daniele Molajoli
Vita Dulcis. Daniele Molajoli
Vita Dulcis. Daniele Molajoli

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