Sembra essere solo una fotografia di un ragazzino in bicicletta, un bianco e nero opaco, sfumato nei contorni, che sa di passaggio tra Ottocento e Novecento. Scarpine nere lucide sui pedali, polpacci magri, pantaloni alla zuava, braccia tese sul manubrio, il suo sguardo obliquo verso la camera, non proprio felicissimo. Ma se sapessimo che quel ragazzino si chiamava Marcel Duchamp, questa informazione cambierebbe il nostro punto di vista sull’immagine?
La fotografia fu scattata nel 1902, a Blainville-Crevon, Normandia, e 11 anni dopo, nel 1913, a New York, la storia dell’arte sarebbe cambiata per sempre a partire dall’invenzione di una ruota molto simile, praticamente identica, la “Roue de bicyclette”, una circonferenza del diametro di 63,8 centimetri, assemblata su uno sgabello in legno verniciato. Era il primo Ready Made mai realizzato al mondo – ma può “veramente” essere stato il primo? –, lo stesso Duchamp non aveva ancora coniato compiutamente il termine e l’originale sarebbe andato perduto poco dopo ma in fondo cosa importa, il turning point dell’aura, dell’unicità dell’opera, era stato imboccato, impossibile tornare indietro. Questa fotografia segnante, che potrebbe dare la base a diverse meme da storici dell’arte, è stata digitalizzata e, insieme a decine di migliaia di altre, è disponibile alla consultazione sulla nuova piattaforma online totalmente dedicata allo scopritore dell’arte contemporanea. A dare impulso alla lodevole iniziativa, il Philadelphia Museum of Art, che conserva la più ampia collezione al mondo di opere di Marcel Duchamp, in collaborazione con il Centre Pompidou e con l’Association Marcel Duchamp di Parigi.
Le tre istituzioni hanno unito le forze dei loro archivi, aprendoli al pubblico dell’internet attraverso la pagina duchamparchives.org, che è live da pochi giorni e racconta tutta la vita e tutta l’arte dell’artista più enigmatico dai tempi dell’arte rupestre. Il portale dà accesso a circa 18mila documenti e a 50mila immagini riferite alla biografia di Duchamp, dalle foto di famiglia a quelle della comunità dell’arte d’avanguardia. Tantissimi i piccoli tesori da scoprire, come una fotografia scattata dalla grande regista surrealista Maya Deren a “Lazy Hardware”, l’allestimento della vetrina di una libreria newyorchese fatto da Duchamp e André Breton.
E poi lettere, memorandum, telegrammi, ritagli di giornale, scarabocchi, note. Tutti gli oggetti sono scrupolosamente classificati e archiviati e per molti è disponibile anche una scheda “Relationships”, che rimanda a contenuti in qualche modo affini, rendendo una semplice ricerca un viaggio potenzialmente infinito tra le molteplici diramazioni intraprese dall’esistenza duchampiana. «Se dai un’occhiata a questo portale, puoi imbatterti in una grande varietà di documenti. Potrebbero essere fotografie di famiglia o corrispondenza o documenti relativi a mostre. Uno tira l’altro», ha commentato Matthew Affron, curatore di arte moderna del PMA e autore del volume “The Essential Duchamp”.
Tra i pezzi forti, diverse fotografie che documentano varie fasi di lavoro per “La mariée mise à nu par ses célibataires, même”, aka Le Grand Verre, il Grande vetro, una delle opere più complesse, elaborate e sofferte di Duchamp, che lavorò al pezzo dal 1915 al 1923. Fu esposta nel 1926 al Brooklyn Museum ma si ruppe durante il trasporto e Duchamp la riparò con cura. Ora l’originale – perché ne furono realizzate tre copie, tutte autorizzate dall’autore – fa parte della collezione permanente del Philadelphia Museum of Art e a oggi non ne esiste una spiegazione ufficiale. Lo stesso Duchamp, per confondere le acque, scrisse una serie di note che sembrano voler spiegare tutto e invece continuano a mischiare i pensieri e a confondere i punti di vista.
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