W Gino di Maggio, e la sua collezione. A Tolosa

di - 22 Giugno 2020

Viva Gino! Une vie dans l’art è la prima mostra francese che celebra la passione e il mecenatismo di Gino Di Maggio presso Les Abattoirs, Musée – Frac Occitanie Toulouse con diverse opere provenienti dalla Fondazione Mudima di Milano. Futurismo, Fluxus, Nouveau Réalisme, Mono-ha, Gutai, videoarte, Arte programmata e cinetica sono alcuni dei movimenti presentati qui attraverso una cinquantina di artisti internazionali. Il percorso testimonia i forti legami di amicizia che il mecenate italiano ha intessuto per anni con artisti d’ogni orizzonte, oltre al suo investimento morale ed etico nel supportare la creazione artistica al di là delle tendenze di mercato. Performance, interdisciplinarità artistica e sperimentazione musicale, sono alcune linee guida di questa collezione in azione, come l’hanno definita i due curatori dell’esposizione; Annabelle Ténèze, direttrice degli Abattoirs e Valentin Rodriguez, direttore delle collezioni. Vale a dire? Di Maggio rifiuta l’appellativo di collezionista, asserendo che quello che ha raccolto per anni è il risultato di incontri e di straordinari momenti di condivisione, tant’è che nelle didascalie delle opere qui esposte leggiamo ‘collezione comune’ che rimpiazza la consueta ‘privata’. Classe 1940, scrittore ed editore della rivista Alphabeta 2, Di Maggio è attivo nel campo dell’arte dagli anni cinquanta, e nel 1989 ha inoltre creato la Fondazione Mudima, la prima a essere dedicata all’Arte Contemporanea in Italia.
Prima di intraprendere il percorso abbiamo fatto quattro chiacchiere con colui che vede “l’arte come un campo di giochi infiniti, dove tutte le libertà sono possibili” ossia Gino Di Maggio.

Gino di Maggio

L’intervista a Gino Di Maggio

In risposta al titolo della mostra che inneggia il tuo operato, nel bel mezzo del vernissage hai gridato ‘abbasso Gino!’. Perché?

Ho vissuto tutta quest’esperienza con molta discrezione, senza nessuna ambizione personale, perché non me ne frega niente. Io non sono un collezionista e l’ho sempre detto. C’è chi sceglie un’opera, ma non io. E poi, non ho mai avuto i soldi. Ho voluto conoscere con grande curiosità gli artisti, che a loro volta mi hanno concesso la loro amicizia, ho visto nascere processi creativi e il risultato ai quali si arriva. Non m’interessa se un artista ha successo o meno. Fluxus non ha avuto successo sul mercato, e io sono quello che l’ha seguito di più negli ultimi 40 anni. Beyus un giorno mi ha chiesto quanti soldi avevo in tasca. Senza capire, sbigottito gli dissi che avevo 2,200 marchi, insomma mi ha venduto un’opera quotata poi a 300mila euro. Comprai per 500 mila lire un’opera di Cy Twombly, quando era agli inizi. Tempo dopo gli chiesi se potevo vendere una sua opera per comprare il Mudima, mi disse di sì. Gli interni li ha poi disegnati lui.

Hai cominciato a interessarti alla creazione avvicinandoti all’Arte Contemporanea. Giusto?

Sì! Volevo fare il liceo classico ma mio padre non ha voluto perché non c’erano soldi, allora mi sono arrabbiato e mi sono iscritto al partito comunista. Ho letto Marx, Engels, e Lenin, ma anche Platone e Socrate. Ho scoperto i grandi intellettuali, e ho imparato a pensare liberamente. Sono arrivato a 19 anni senza conoscere niente dell’arte, ero un giovane comunista, che si chiedeva chi fosse Marinetti. Sono poi diventato amico di Sergio Dangelo che mi ha introdotto nel mondo dell’arte, mi ha spiegato il dadaismo, il surrealismo, mi ha parlato di Duchamp, che ha conosciuto.

Nella sezione L’autre face de l’Italie, commentando l’installazione Film Environnement (1969) di Marinella Pirelli, hai detto che in passato gli artisti benestanti non erano graditi nell’ambiente artistico. Oggi, non è proprio così.

Essere ricchi negli anni sessanta pesava. Marinella Pirelli ha pagato un prezzo altissimo, nessuno le dava spazio. Quando Yoko Ono si è spostata con John Lennon l’hanno esclusa. Lei era ricca, mentre gli altri no. L’ho recuperata io nel 90. Gianfranco Baruchello, figlio di un industriale, è probabilmente il pittore più bravo del dopoguerra italiano. Negli anni sessanta ha fatto cinema sperimentale, ma pochi lo conoscono. Blob, il programma creato da Ghezzi e Giusti, viene da Verifica incerta (16 mm, 1964) di Baruchello e Grifi.

Viva Gino! Une vie dans l’arte, particolare della mostra

Anticonvenzionale e impegnato, sei sempre alla ricerca di risposte. Cos’è che non va, oggi?

È il politicamente corretto, quel facciamo finta che. Se tu sei una persona normale e non un buonista non tieni le ong a salvare la gente. Sono anni che propongo un traghetto tra Tripoli e Catania per far arrivare la gente. La mia risposta? Un altro modo di vivere, un’organizzazione della società di tipo nuovo, secondo un modello culturale-economico operativo. In Sicilia nella provincia di Messina, ho un’associazione con la quale recuperiamo tutte le coordinate della cultura profonda, l’ho chiamata “scuola delle cose”, che è aperta a tutti. Spero di fare interagire tutta la provincia, per creare posti di lavori coinvolgendo quello che si alza al mattino chiedendosi come farà a sbarcare il lunario. Abbiamo convinto milioni di giovani che fare l’agricoltore sia un mestiere spregevole, senza spiegargli che se non ci fossero i contadini non mangeremo nemmeno.

Che cos’ha l’artista che gli altri non hanno?

Qual è il meccanismo che fa dire all’artista di esserlo. Non è ché glielo dicono gli altri, è lui che ha avuto l’istinto di dirlo. È una cosa che io non ho mai provato. È questa mia sordità che mi ha spinto a saperne di più. Insomma ho avuto invidia dei processi creativi. Perché lui sì e io no? Mi sono avvicinato con questa grande curiosità di sapere. Credo che l’artista abbia una memoria più lunga degli altri, perché si ricorda quello che siamo e cioè una struttura creativa, che appartiene alla materia che cambia sempre. Mi avvicino a un artista perché non capisco quello che fa. Quando non capisco un concetto non lo accetto e lo voglio verificare, per capire. Grazie al mio rapporto con gli artisti ho imparato a essere anticonformista.

Viva Gino! Une vie dans l’arte, veduta della mostra

Un giro in mostra: le opere

Diverse sale, capienti e luminose, accolgono la mostra che si apre sotto il segno della musica, nella grande navata degli Abattoirs col titolo Jouer, détruire et reconstruire, dove troviamo opere del movimento Fluxus, con pianoforti atipici, pitture, foto, disegni, sculture, installazioni e video, vedi Please play or the mother the father or the family (1990) di John Cage o Man (1990) di Nam June Paik, oltre a opere di George Brecht, Carolee Schneeman, Giuseppe Chiari, Esther Ferrer o Yoko Ono. Presente N’import quoi est musique (1989) di Benjamin Vautier, detto Ben, figura di prua del Fluxus, e creatore della Fondation du doute a Blois che collabora da sempre con la fondazione Mudima.
Una sala multimediale è dedicata al Manifesto futurista con documenti provenienti da tutto il mondo. È importante precisare come il futurismo abbia stimolato in Di Maggio la curiosità per l’arte, che considera come la forma più radicale della giovane avanguardia. A questo proposito, nel 2009 per il centenario della nascita del futurismo, Di Maggio ha prodotto una serie di pubblicazioni con Giovanni Lista e Daniele Lombardi, ha inoltre organizzato al MACRO di Roma la mostra Futurismo Manifesto 100×100 a cura di Achille Bonito Oliva. La mostra prosegue con uno spazio dedicato al ready-made con Marcel Duchamp e Shigeko Kubota, a cui fa seguito quella sullo spazialismo con Lucio Fontana e Piero Manzoni. Sotto il titolo L’altra faccia dell’Italia troviamo i lavori di Livio Marzot, Alighiero Boetti, Sergio Lombardo, Renato Mambor e Fausta Squatriti. Si va poi dai Nouveaux Réalistes con Arman, César, Raymond Hains, per citarne solo alcuni, al Giappone tra Mono-Ha e Gutai, con creazioni di Toshimitsu Imaï, Kazuo Shiriga e Atsuko Tanaka in dialogo qui con le stampe di Takesada Matsutani. Prodotte tra il 1967 e il 1977, si tratta di un’eccezionale donazione di Matsutani all’Institut national d’histoire de l’art (INHA) e che vengono presentate qui per la prima volta al pubblico. Ricordiamo che presso gli Abattoirs è conservata una delle più importanti collezioni Gutai in Francia, tra cui quattro opere di Matsutani. Uno degli orientamenti artistici degli Abattoirs, che festeggia quest’anno vent’anni, è di proporre riletture sempre diverse sull’avanguardia della seconda metà del ventesimo secolo, integrando opere della collezione nei percorsi espositivi.

Viva Gino! Une vie dans l’arte, veduta della mostra

Riaperta dal 3 giugno fino al 15 novembre la mostra è un focus sui meccanismi che collegano la personalità del collezionista agli artisti e alle loro creazioni. Quanto mai attuale in questa fase di post confinamento, l’esposizione rivaluta l’incontro di persona e la fruizione della creazione artistica che predilige l’esperienza interattiva e sensoriale senza mediazioni digitali.

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