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Voglio fare tutto quello che mi piace: la parola a Vincenzo D’Ambrosio
Arte contemporanea
«Tutti veniamo visti ma pochi di noi vengono guardati». L’abitudine a tracciare limiti e ruoli nel mondo dell’arte è cosa assai riduttiva. Pittore, scultore, fotografo, committente, musa, modello, stilista…ma cosa succederebbe se questi ruoli fossero ricoperti dalla stessa persona? Vi siete mai chiesti se pittori e musa abbiano davvero ruoli diversi, al fine della realizzazione di un’opera? La poetica di Vincenzo D’Ambrosio racchiude tutti questi ruoli. Una delicata e prepotente presa di posizione nel mondo dell’arte. La volontà di scardinare ogni stereotipo nel nome dell’arte. L’aspirazione a una bellezza universale, inclusiva e assoluta. Ogni scatto racconta velatamente le sfumature dell’artista.
Tutti i volti sono disegnati e letteralmente dipinti sul suo abito, da Paolo de Luca e Roberta Astarita, due artisti napoletani con i quali Vincenzo ha deciso di collaborare per gli scatti dell’intervista.
Abbiamo incontrato Vincenzo D’Ambrosio a Napoli, presso l’Atelier Alifuoco e, successivamente, presso lo studio dell’artista Roberto Fiore, dove ha riunito amici e artisti ribadendo la sua visione sociale dell’arte (pur in piena pandemia).
«Ci siamo ispirati al Blu di Yves Klein, dove uno stesso corpo diventa visibile direttamente su una seconda superficie; in questo caso la superficie è la femminilità su un certo corpo, un comportamento diverso dallo standard che convenzionalmente è identificabile col genere maschile. Il nostro blu klein è ricerca di femminilità fuori da ogni realtà che già conosciamo, perché bellezza ancora ingiustamente nascosta», ci ha spiegato Roberto Fiore, che si è occupato di dirigere Vincenzo sul set, proponendo pose ispirate alla statuaria antica, enfatizzando il contrasto tra un canone di bellezza normato e uno assoluto.
Il trucco è stato realizzato dalla persona che meglio conosce Vincenzo, la sua migliore amica, la prima che l’abbia mai truccato: l’artista Adelaide Vesaturo, che ci ha spiegato come, per lei, il volto di Vincenzo sia sempre stato come una tela.
La body art usa il corpo come mezzo espressivo su cui compiere operazioni o come soggetto che agisce in uno spazio e provoca eventi. Le tue esibizioni sono dei veri e propri happening dove il corpo è, al tempo stesso, soggetto e oggetto del processo creativo, ma anche un interscambio di energie empatiche tra l’artista e il pubblico. Pensi che le tue performance possono contribuire a superare i tabù sessuali imposti dalla società?
«Non mi pongo un obiettivo preciso. Ciò che faccio è per sua natura stessa qualcosa che dà piacere a me e agli altri che guardano. Se possa aiutare ne sono contento, ma la forza non è nelle mie performance ma in ognuno di noi».
Lavorare nel mondo dell’arte: come è concepito, secondo te, questo concetto nella società contemporanea?
«L’arte è un argomento difficile da capire così come da poter fare. Oggi impropriamente seguiamo tutti quella filosofia di Duchamp: “tutto può essere arte”. Ed è vero, ma non tutti siamo pronti a capire realmente quanto l’arte può aiutarci a capire, a vivere e a porci delle nuove domande. Credo che l’arte sia ancora troppo sminuita dal pubblico e un’esibizione non è valutata a oggi come un quadro o un’opera letteraria. L’arte dovrebbe aiutarci a superare i nostri limiti, ma noi, in questa società contemporanea siamo ancora troppo vittime di quei limiti».
Late 2 the party in heaven è una serie di scatti che vuole donare l’eternità ai suoi protagonisti. La serie, in continua progressione, sorprende per la sua intensità. Ti va di parlarcene cosa rappresenta per te? Perché la consideri un’opera non finita?
«L2TPIH è un progetto in itinere, un percorso autobiografico, credo finirà quando morirò».
Partenope Vive è il progetto fotografico che ritrae e intervista creativi e icone del panorama napoletano contemporaneo, raccontando le storie dei personaggi partenopei e della città che li ha resi possibili. Realtà e costruzione, persona e personaggio, vita e immaginazione, simulacro e materialità temi affascinanti e agli antipodi che caratterizzano la città di Napoli, come vivi il rapporto con questa città?
«Napoli è qualcosa che ti porti dentro, difficile da spiegare. Ne sono incapace a parole. Partenope Vive cerca di spiegare senza troppe parole ma con testimonianze e scatti quella che è la realtà più cara al mio cuore. Napoli è come quelle vecchie amanti, una donna da cui scappi ma che in una sera di disgrazie sai che ti riaprirà la porta, se le busserai».
Nel 2018, Peter Spark ha deciso di girare un film sull’artista, cercando di captarne l’essenza.
Vincenzo D’Ambrosio: «Ho sogni cinematografici delle mie preoccupazioni»
Il principio dell’identità fra arte e vita è fondamentale per la produzione di Vincenzo. Durante l’ultimo lockdown, ha realizzato un corto in cui il continuo fluire dell’esistenza si innesta in un ambiente statico, quello domestico. L’intento è quello di spogliare l’artista di qualsiasi immagine costruita, puntando genuinamente alla realtà delle cose e restituendone un’immagine assoluta e umanamente condivisa. Un’opera originale e delicata, dove luci e atmosfere sembrano disegnate dall’autore stesso.
Per il francese Ben Vautier, anche un atto banale come lavarsi i denti diviene artistico, se viene pensato e proposto al pubblico come tale, ed è ciò che avviene in Tutto sbagliato. Il video, narrazione di un divertente esperimento di make up, sperimenta un nuovo modo di vedere la realtà o meglio trasforma l’irrilevanza delle azioni e degli oggetti quotidiani in eventi artistici.
Vincenzo D’Ambrosio è nato nel 1993 a Napoli. Dopo gli studi in comunicazione, si trasferisce a Milano per studiare fotografia, dove inizia un percorso di sperimentazione artistica facendo del suo corpo il principale mezzo espressivo. Vincenzo, o Ambrosia, è qualcosa ancora da definire, un modo di essere difficile da descrivere.
Hanno collaborato all’intervista: Roberto Fiore, De Luca Paolo, Adelaide Vasaturo, Lucia Schettino, Roberta Astarita e Vincenzo Piscopo. Un ringraziamento speciale ad Atelier Alifuoco.
«Non è un seno a definirci donna, non un titolo a definirci artisti», Vincenzo D’Ambrosio
Per le altre puntate di The Undergroud, la nostra guida all’esplorazione dell’arte diffusa al di là dei circuiti convenzionali, per scelta o per caso, potete cliccare qui.