Presentata durante la prima settimana della 60ma Biennale d’Arte, sarà visitabile fino al 30 settembre 2024, presso la Chiesa di Santa Maria della Pietà, a Venezia, la mostra di Wallace Chan, a cura di James Putnam, che scandisce un itinerario denso di simbolismi e al contempo catartico, volto a rintracciare punti di congiunture tra la spiritualità buddista e la dottrina cattolica. Attraverso l’utilizzo del titanio, Chan presenta delle sculture sospese polisemantiche, che contengono al loro interno la conflittualità intrinseca del doppio, qui inteso come tentativo di fusione panistica tra due prospettive religiose destinate all’incontro.
«Questa rappresenta la terza collaborazione con Wallace Chan a Venezia, e con Transcendence narreremo l’ultima fase delle nostre esplorazioni dei confini tra il materiale e il metafisico. La mostra si configura come una serie profondamente contemplativa, offrendo ai visitatori l’opportunità di trascendere da una forma corporea legata alla terra all’etereo e spirituale regno dell’opera di Wallace Chan», ha dichiarato il curatore della mostra, evidenziando come Transcendence segua The Wheel of Time, tenutasi a settembre 2023 nella sede londinese di Christie’s.
Come in quell’occasione, l’artista, noto per la sua attività di intagliatore e scultore di gioelli, in particolare di gemme oltre che di materiali ferrosi come il titanio, propone a Santa Maria della Pietà una narrazione più intima del suo vissuto, che tiene conto delle sue vicende biografiche e delle sue sollecitazioni artistiche. A proposito del terzo intervento in laguna dell’artista, l’artista ha chiarito modelli, ispirazioni e orizzonti a cui tende con questa mostra, in relazione soprattutto alla concomitanza con la Biennale.
Quale influenza ha avuto la sua formazione, sia culturale che spirituale, sulla sua pratica artistica e come si collega, se esiste, alle tecniche di incisione, scultura e intaglio che spesso utilizza nella sua produzione?
«Provengo da un background profondamente radicato nella cultura cinese. Tuttavia, il mio approccio alla creazione è universale: accolgo tutto ciò che arricchisce la mia arte, che sia orientale o occidentale. Il contrasto tra antico e futuro e l’interazione tra culture diverse sono fonti di nutrimento per la mia creatività.
Potrei impiegare tecniche come l’uso di metalli dell’era spaziale trovati nella ricerca scientifica per rappresentare stati meditativi. Credo che le pratiche multidisciplinari possano accendere una potente creatività, favorendo quello che io chiamo “scambio genetico” tra campi diversi».
Considerando la sua esperienza personale, qual è il percorso concettuale che ha portato all’ideazione di “Transcendence”?
«Nel mio lavoro, sia i materiali che lo spazio giocano un ruolo fondamentale. Senza spazio i materiali non hanno significato e senza materiali lo spazio non ha senso. Questa mostra, intitolata Transcendence, prosegue i temi esplorati nelle due precedenti esposizioni della Biennale di Venezia: Titani, che ha approfondito l’interazione tra materia, spazio e tempo, e Totem, che ha coinvolto gli spettatori con una scultura monumentale divisa in sezioni. Transcendence amplia questi temi, formando una trilogia che indaga ulteriormente il concetto di spazio.
A differenza delle tipiche mostre in galleria, che sono collocate all’interno di uno spazio bianco – o quello che noi chiamiamo “white cube” – questa mostra si svolge in una cappella storica e religiosa, offrendo un’atmosfera serena e accogliente che incoraggia gli spettatori in un umile viaggio spirituale. Il curatore James Putnam riconosce il mio passato di ex monaco e comprende come la meditazione favorisca la tranquillità e ispiri la mia creatività.
Pur non aderendo a nessuna religione specifica, vedo tutte le religioni come espressioni filosofiche radicate nell’amore universale, come l’arte, che è una ricerca dello spirito. Attraverso le mie creazioni, voglio trascendere il fisico nel regno spirituale, il che risuona con l’idea, presente in molte credenze religiose, di trascendere il tempo e lo spazio per connettersi con l’eterno».
Secondo lei, qual è il trait d’union tra la filosofia buddista e la dottrina cattolica e come si riflette nelle opere esposte?
«In questa mostra, alla fine della cappella, si vede un altare con due piccole sculture: una di un Buddha in preghiera e l’altra di un Cristo in meditazione. Ho scambiato simbolicamente i loro corpi per mostrare come tutto sia interconnesso e trascendente.
Vedo tutte le religioni come percorsi spirituali che si intrecciano l’uno con l’altro, formando un ciclo continuo senza un chiaro inizio o fine. Sia il cristianesimo che il buddismo pongono l’accento sull’amore – per se stessi, per gli amici e per la famiglia – che si espande fino ad abbracciare un amore più ampio per l’umanità, la storia, la cultura e la spiritualità».
L’allestimento prevede una progressione graduale verso l’abside della cappella: può chiarire la scelta della successione delle opere e come si configurano poi nella narrazione del percorso spirituale? Ognuna di esse rappresenta una tappa simbolica? Se sì, quale?
«Percorrendo la cappella dalla prima alla quarta scultura, si incontra la rappresentazione simbolica delle quattro stagioni della vita. Ogni scultura rappresenta una stagione distinta, a partire dall’inverno, seguita da primavera, estate e autunno. Esse rispecchiano le fasi dell’esistenza umana e della crescita spirituale.
L’inverno, come il titanio con il suo alto punto di fusione di 1700 gradi Celsius, rappresenta la durezza e la resilienza. Durante la creazione di questa scultura, ho affrontato le mie sfide personali, confrontandomi con le mie paure, i miei dubbi e le mie vulnerabilità. Ma come l’arrivo della primavera, il processo creativo ha portato nuova forza e ispirazione, come le qualità durature del titanio.
Questa cappella è un luogo di culto e al suo interno le sculture realizzate in titanio – un materiale futuristico e spaziale – simboleggiano un legame unico tra tradizione e innovazione, unendo il passato al futuro. In definitiva, tutto cambia e la vita continua a evolversi. Il mio obiettivo è creare arte che resista alla prova del tempo, al di là della mia stessa esistenza. In questo modo spero che le mie idee possano trascendere il tempo».
Quale contributo pensa che Transcendence possa dare all’estetica formale e metaforica di questa Biennale? È congeniale inserirla nel tema Stranieri ovunque?
«Transcendence rappresenta un viaggio verso il paradiso e il nirvana, sottolineando l’amore universale e l’interconnessione. Ci insegna l’idea che la natura è intrinsecamente compassionevole e che l’universo opera senza discriminazioni. L’essenza di Transcendence consiste nel promuovere l’armonia e la pace, permettendo al pubblico di rendersi conto dell’intrinseca interconnessione di tutti gli esseri. Questa comprensione incarna il fatto che nessuno è veramente un estraneo, in quanto tutti condividiamo una connessione fondamentale: vedere “tu in me” e “io in te”, questo è il senso della Trascendenza».
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