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Xu Bing, la pelle del tempo: la mostra all’American Academy di Roma
Arte contemporanea
L’artista pluripremiato Xu Bing (Chongqing, 1955) è approdato a Roma per la sua mostra personale A Moment in Time, accolta negli spazi dell’American Academy, dove ha risieduto in qualità di Tsao Family Foudation Resident in art.
Di Xu sono esposti due lavori rappresentanti l’uno il mondo orientale, dove si trovano le sue radici, e l’altro il mondo occidentale, nel quale Xu si è stabilito. The Wall (1988- 1991) e The Road (2024) sono monumentali installazioni a stampa, entrambe realizzate con l’affascinante tecnica del frottage, una forma di ricalco usata sin dai tempi della dinastia Han (202 a.C.- 9 d.C., 25 – 220 d.C.). Una sezione della Grande Muraglia e una sezione di ventidue metri che riproduce la pavimentazione della via Appia Antica su carta Xuan, aderiscono alle mura e al pavimento delle sale espositive generando un effetto d’impatto. E una vertiginosa riflessione sulle ideali lontananze e i contatti storico culturali tra due grandi imperi, quello romano e quello cinese. Ce ne parla Xu Bing in questa intervista.
A Moment in Time è il titolo della tua mostra romana. Quando si parla di tempo, mi viene sempre in mente quella meravigliosa enciclopedia del nostro critico Achille Bonito Oliva: I Portatori del Tempo (2018). Ciascun volume ne affronta una diversa declinazione: il tempo comico, quello interiore, il tempo inclinato, il tempo pieno, il tempo aperto. Con quale aggettivo definiresti la tua personale visione artistica ed esistenziale del tempo?
«Questo titolo è stato dato da Ilaria Puri Purini, la curatrice della mostra insieme a Lexi Eberspacher, e mi piace molto. Che cos’è il tempo? In realtà, il tempo è qualcosa che non può essere definito da un unico concetto, quindi si può dire che sia qualcosa che non esiste veramente. Tuttavia, dato che la cultura e la comunicazione umana richiedono di dare un nome ogni cosa, per indicare questo concetto si usa il termine “tempo”, che in cinese significa “时间”. L’incertezza e il mistero del tempo hanno portato a varie classificazioni della sua natura, come discusso da Achille Bonito Oliva. Le opere d’arte che esplorano il concetto di tempo illustrano ulteriormente queste classificazioni.
A mio avviso, tutti questi sforzi tendono a restringere la nozione di tempo. Più ci impegniamo a definirlo, più ne limitiamo la portata. Quando pronunciamo la parola “tempo”, essa non comprende più la vastità di ciò che rappresenta veramente. Questa prospettiva potrebbe essere fortemente influenzata dall’epistemologia Zen orientale».
La città di Roma che tu hai abitato e con la quale sei entrato fisicamente in contatto per The Road, è un labirinto di stratificazioni. Chiese, monumenti e rovine suggeriscono subito all’occhio un rimando al passato, alle contaminazioni, suscitando talvolta quella che Woody Allen definisce “malinconia di Melpomene”. C’è un impero saturo di simboli, di storia che ci sovrasta. Cosa raccoglie il tuo sguardo dall’orizzonte della Città Eterna e perché hai scelto una strada per rappresentarne i suoi lontani fasti?
«Mi piacciono le città che custodiscono tracce politiche e storiche, città che possono evocare un sentimento come la “malinconia di Melpomene”. Un monumento, un muro antico, persino un pezzo di marmo o un mattone dimezzato che reca tracce umane, può lasciare una sensazione di smarrimento e intensificare questa malinconia. È un sentimento che nasce perché ci rendiamo conto che ogni pietra è un fossile vecchio miliardi di anni e ci lascia incerti su come rispondere alla sua storia. Negli ultimi anni, si è generata una tendenza popolare tra i giovani cinesi che su Internet è conosciuta come “viaggio nel tempo” e come l’emergere della “cultura del viaggio nel tempo”. Camminare per le strade o i sentieri di Roma è un’esperienza simile a un viaggio temporale. I segni su un muro o le cicatrici su un gruppo di statue di pregio rivelano storie infinite. Mentre si cammina in un vicolo per prendere una caffè, si può immaginare Michelangelo che passa e chiedersi cosa lo abbia portato proprio lì.
Ho scelto la Via Appia per il “significato” che la gente attribuisce oggi alle cose. L’antica strada romana può essere considerata l’antenata della moderna autostrada mondiale, l’antenata del concetto di superstrada dell’informazione e persino della catena stellare spaziale. Tutto si riconduce a ciò che abbiamo discusso all’inizio: in definitiva, si tratta di comunicazione. In effetti, la Via Appia è importante quanto tutte le strade di Roma».
In oltre cinquant’anni, la tua carriera artistica si è snodata tra la Cina, gli Stati Uniti e ora l’Europa, creando dunque un ponte tra Oriente e Occidente. Cosa ti ha spinto a lasciare il tuo Paese e cos’hai trovato “al di là della Grande Muraglia”?
«I ricalchi di Beyond the Great Wall sono stati creati nel 1988. Sono passati quasi 40 anni rispetto alla stampa della Via Appia, avvenuta due mesi fa. Quei ricalchi servivano per preparare la stampa della Grande Muraglia su grande scala. Questa preparazione contiene in sé due aspetti. In primo luogo, come artista, sono abituato a contemplare il significato dello sfregamento mentre eseguo il processo. Il testo che accompagna l’opera si basa sugli studi della Grande Muraglia da parte dell’antico filosofo cinese Gu Yanwu. L’iscrizione è citata dall’opera di Gu Yanwu (1613-1682) On the Great Wall, che fornisce una ricerca dettagliata sulla storia della Grande Muraglia. Il suo famoso paragrafo conclusivo contiene anche riferimenti all’antica filosofia politica cinese: “la geografia della battaglia era infida, le mura della città sono alte, i soldati non sono pochi e il grano è sufficiente; piuttosto, le leggi della terra non considerano il popolo, con il risultato che i cuori del popolo non sono uniti”. Gu Yanwu ha espresso il suo punto di vista sul rapporto tra il monarca e il popolo, attraverso il commento di un’antica battaglia. Egli ha affermato che se un Paese non è in grado di conquistare i cuori e le menti del suo popolo, non importa quanto forte sia l’esercito, non otterrà il successo politico.
Inoltre, io studio la tecnica a stampa e l’educazione alla stampa cinese è di fatto lo studio delle tecniche di stampa occidentali. La differenza fondamentale tra stampa e pittura sta nel plurale, nelle impressioni prescrittive e nell’espressione indiretta. La pratica dell’antico inchiostro cinese e la tecnica dello sfregamento mi hanno fatto percepire il potenziale che sussiste tra le “tracce prescrittive” della stampa e le “tracce fluide” della pittura. Il ricalco non è solo soggetto alle regole del processo di sfregamento, ma si combina anche con ciò che riguarda il controllo umano dell’artista. Un fatto che rende il risultato della presentazione pieno di tensione interna e di significato. Ad esempio, se tornassi indietro e ricreassi la sezione sulla Grande Muraglia nel 1988, il risultato sarebbe diverso dall’immagine registrata all’epoca in “Beyond of the Great Wall”. Dopo quasi 40 anni di intemperie, la Grande Muraglia è cambiata. Inoltre, una persona di 30 anni non può creare la stessa immagine di una persona di 70».
Nella tua lunghissima indagine hai sperimentato medium diversi per esprimere il tuo pensiero: installazioni, animazioni, film a disegni, stampe e libri. Nel caso di The Wall e, a distanza di 36 anni, di The Road, hai adoperato il frottage. Come sei arrivato a questa tecnica e perché?
«Nel giudicare se vale la pena fare un’opera, la scelta del materiale, dello stile e della tecnica per me non è una considerazione primaria. A mio avviso, l’ispirazione per la creatività artistica non viene dalla conoscenza della storia dell’arte o dal confronto di stili e generi. La vera funzione di un artista è invece quella di percepire il tempo in cui vive ed esprimere ciò che vuole dire. Queste parole devono essere originali (non vale la pena ripetere ciò che altri hanno già detto), quindi dobbiamo trovare un nuovo modo di esprimerci, l’essenza di una nuova espressione artistica.
Nel mondo dell’arte si discute spesso di questioni a mio avviso non così rilevanti. Concetti come antico e moderno per me sono essenzialmente la stessa cosa. Qualcuno potrebbe chiedersi perché, mentre mi sto occupando di esplorare l’arte spaziale, io ritorni alle tecniche del frottage dell’antico Oriente. Gli antichi hanno inventato questa tecnica, che può essere considerata antesignana delle successive idee di copiatura e persino della stampa 3D. Quando operiamo con questi sfregamenti, ogni azione su ogni pietra dell’antica strada – sebbene apparentemente ripetitiva – è unica e irraggiungibile dall’IA. Questo processo non può essere digitalizzato e nessun modello di dati è abbastanza grande per catturarlo completamente. Questo è il collegamento tra l’uso della tecnologia in quest’opera e le sfide tecnologiche più avanzate dell’umanità, tra cui quella di affrontare la paura dell’IA e dei suoi limiti. La discussione di questi temi critici, i vincoli e le rivalità nelle relazioni umane, introduce nuovi parametri per giudicare questi problemi.
(Il lavoro di un artista consiste essenzialmente nel costruire un “ciclo” della propria arte. Man mano che i tempi cambiano, questo “ciclo” rivelerà sempre delle lacune che dovranno essere colmate con materiali più efficaci. Dunque la creazione di opere d’arte è un processo in continua crescita e l’uso dei materiali diventa immediatamente illimitato) ».
A prima vista i tuoi lavori assomigliano a pelli che si ha voglia di toccare. Poi acquisendo il senso di cosa rappresentano si trasformano da “luoghi” o “frammenti di luoghi” a non luoghi, poiché sono decontestualizzati. Una muraglia e il lastricato di una via portati dentro una stanza. Un po’ il contrario degli earthworks e della land art. Dove resta, però, lo stesso senso di un duello tra spazio e tempo, dove il tempo ha la meglio: vediamo un luogo, pensiamo a un tempo…
«La tua idea di come questo lavoro si relazioni con la pelle è molto interessante. Lo sfregamento trasforma l’oggetto originale tridimensionale in una forma bidimensionale. Lascia il contesto dell’ambiente spaziale tridimensionale per diventare un “campione” (specimen) che può essere trasferito in altre civiltà e contesti. La pelle porta con sé schemi a base di carbonio e informazioni sul DNA, oltre al valore delle impronte digitali e alla loro affidabilità. A proposito di land art: di solito questo tipo di arte vive soprattutto nel contesto del territorio e non può essere rimossa o spostata, ciò significa che si perde una dimensione».
Nel filmato che accompagna la mostra si vedono gli studenti di alcune accademie d’arte che collaborano insieme a te nel realizzare le opere, chinati pazientemente a terra per prendere le impronte della via Appia Antica. La coralità del lavoro è un modo per contrastare l’individualismo?
«Trovo affascinante lavorare con gli studenti d’arte di Roma e Hong Kong perché sono molto giovani e non hanno familiarità con le tecniche antiche. Di solito si chinano sugli schermi dei computer, ma ora si sono chinati sulle rovine antiche. Il contrasto è interessante. In realtà, questo tipo di cooperazione riguarda più la gestione del carico di lavoro che la resistenza all’individualismo. A causa dell’immenso carico di lavoro fisico, è necessario lo sforzo collettivo di tutti per completarlo».
Questo metodo di entrare in contatto con la materia, con la superficie, la pelle di una strada, mi ha ricordato Asphalt Rundown (1969) che l’americano Robert Smithson ha realizzato sulla via Laurentina con la tecnica istantanea del dumping, al contrario del frottage che richiede una processualità molto lunga. Entrambi però venuti a Roma con l’intenzione di catturare un momento nel tempo. Quanto conta la processualità e quanto del tuo tempo di creazione rientra nel tempo infinito della storia che intendi raffigurare?
«La durata di un progetto talvolta è importante. Ad esempio, nel mio progetto passato Book from the Sky, ho trascorso quattro anni a fare qualcosa che non ho spiegato, rendendone difficile la comprensione in termini di flusso di lavoro, e quindi impegnando la mente dello spettatore a pensare. Questa assurdità deriva dal tempo che l’artista ha dedicato alla propria azione. Il tempo diventa parte del linguaggio artistico e crea tensione nell’opera. Le opere di Robert Smithson a volte richiedono molto tempo per essere realizzate, ma la colata d’asfalto è istantanea. Tuttavia il tempo utilizzato per creare non coincide con il tempo effettivo di lavoro, in questi casi è impossibile quantificare.
A mio parere, la parte più emozionante della creazione di un’opera è dedicare tempo ai mezzi espressivi e ai materiali più efficaci. Quanto tempo si dedica all’idea? Dietro l’idea, ci sono fattori infinitamente complessi come il carattere della persona, il suo background, i suoi valori, la sua famiglia d’origine eccetera. Fattori che influenzano la decisione finale nel momento in cui si produce arte. La decisione è istantanea, ma la fonte della catena causale della decisione può essere fatta risalire a un tempo infinito. Il momento dell’Asphalt Rundown di Robert Smithson si è solidificato in una sorta di eternità e i miei assistenti ed io ci siamo impegnati a fondo per riprodurre la Via Appia, ottenendo una “registrazione” dell’antica strada nel momento presente. Tra cento anni, tra un anno, a rigore, le tracce che verranno registrate saranno diverse da quelle di oggi».
Sempre a proposito di Smithson, nel ’68 pubblicò il saggio A Sedimental of the Mind: Earth Projects, nel quale parlò di “geologia astratta” per riferirsi a lavori artistici che mirano a fare i conti con la superficie terrestre intesa come specchio dell’essere umano. Anche nel tuo caso si può parlare di “geologia astratta”?
«In realtà, il frottage, in Cina, esiste da prima della dinastia Sui ed è stato utilizzato come strumento di registrazione da generazioni di uomini, archeologi e geologi. Se Smithson vede la terra come uno specchio, che costituisce una “geologia astratta”, il progetto The Wall and the Road può essere paragonato a una “Histoire Geology”. Possiamo spingerci a immaginare: se dovessimo ristampare l’intera città di Roma, o l’intera Italia, o la Terra intera, che tipo di geologia rivelerebbe? Concettualmente e logicamente, questo non è impossibile, ha un senso. È simile al modo in cui gli scienziati usano i dati per prevedere tutto in natura. Tuttavia, a livello operativo, non ci sarebbe fine. L’analisi del mondo attraverso il ragionamento astratto è complementare l’analisi del mondo attraverso le impronte digitali».