Con “Elegy” Yoan Capote restituisce una profonda riflessione che dalla sua terra d’origine, Cuba, viaggia per il mondo toccando temi attuali, dalla dimensione locale a quella universale, fino agli spazi di Galleria Continua. In un dialogo di costanti rimandi tra le opere, “Elegy” narra la visione dell’artista cubano, noto nella scena artistica internazionale. Fino al 3 dicembre, sarà possibile visitare la mostra nell’hotel The St. Regis Rome, tra paesaggi marini e materiali simbolici che assumono nuovi significati, sul tema della migrazione.
Dopo la Biennale di Sidney e Art Basel, quest’anno Yoan Capote arriva a Roma con Galleria Continua, con i suoi paesaggi evocativi e alcune sculture. Dal personale al collettivo, i paesaggi marini di Capote sono interiori, concettuali. Vedute di acque intrise di significato, dove la storia dell’individuo si mescola con una memoria comune. Come per la serie Isla, in cui l’artista ricorda il periodo di forte crisi a Cuba negli anni Novanta che visse in prima persona. In quell’epoca l’isola era in una grave situazione economica e sociale, sotto il governo di Fidel Castro, che spinse molte persone a cercare una via di fuga. Complice l’embargo imposto dagli Stati Uniti, el bloqueo, la vita sull’isola era davvero complicata e così le meravigliose acque tra Oceano Atlantico e Mar dei Caraibi diventarono territorio di navigazione, alla ricerca di nuove rotte, per molti cubani.
Cubani che fuggivano dalla loro terra madre sopra barchette spesso improvvisate e precarie, i balseros cubanos, sperando in una nuova vita. Yoan Capote è tra quelli che è riuscito a rimanere a Cuba, nonostante tutto, insieme ad altri artisti che credono, ancora lì, nella bellezza. In Isla Capote riporta la malinconia delle genti in mare, in traversate difficili e orizzonti incerti. A restituire la sensazione dell’impossibilità di fuga, le trame di ami che disegnano le onde su questi paesaggi marini, tra i blu notte, i rosa e gli arancioni dei tramonti. L’inserimento dell’amo rimanda anche, concettualmente, alla “cortina di ferro” e, in primo luogo, si fa metafora di un mare che tiene prigionieri.
La foglia d’oro è un altro elemento su cui Yoan Capote ha impresso nuovi significati: nella serie Requiem una luce dorata ricopre gli orizzonti di un fitto mare scuro, allegoria di speranza in una migrazione non solo circoscritta a Cuba ma che interessa le acque di tutto il mondo. Questa serie è un omaggio visivo alle anime dei migranti di ogni cultura per l’artista. Però, qui emerge anche la fascinazione di Capote per l’arte italiana, memore dell’opera di Giotto, dei dipinti religiosi del primo Rinascimento, delle pale d’altare medievali.
Invece, Purificazione è la serie in cui Yoan Capote trasforma letteralmente la materia: catene, manette, filo spinato e altri detriti metallici assumono nuove forme. In un processo creativo, in mostra a Galleria Continua con un video dedicato, questi materiali acquisiscono significati opposti rispetto al primo uso per cui sono stati creati. Così, vediamo nuvole in movimento in cieli bianchi che ricordano le incisioni e i disegni dell’iconografia classica. Insieme a questi, torna in “Elegy” la riflessione sulle vite trasportate in mare, dalla vita alla morte nelle sculture Deriva e Presagio.
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