Zerial Art Project presenta, dal 25 maggio al 20 luglio 2024, presso la Fondazione Marta Czok di Venezia, la mostra Embodied Histories a cura di Alice Montanini. Con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica dello Zimbabwe, la mostra porta per la prima volta in Italia l’opera degli artisti dello Zimbabwe Peter Musami e Mukudzei Muzondo. Attraverso una selezione di opere inedite realizzate appositamente per la mostra, Embodied Histories esplora le tematiche della memoria, del trauma e dell’eredità culturale nell’intricato contesto della storia tumultuosa dello Zimbabwe. Ne parliamo con Elisabetta Zerial, fondatrice e direttrice creativa di Zerial Art Project, Alice Montanini, curatrice della mostra, e Jacek Ludwig Scarso, Senior Curator presso Fondazione Marta Czok.
Elisabetta, come nasce Zerial Art Project e come hai scelto gli artisti per questa mostra?
«Zerial Art Project è una galleria nomade fondata nel 2019 con lo scopo di esporre emergenti, mid-career e affermati artisti del panorama artistico internazionale, dove sperimentazione e ricerca si prefiggono come linee guida. Ha l’obiettivo di creare mostre e progetti per la discussione e lo sviluppo degli artisti in forte relazione con il pubblico, basato sulla collaborazione di curatori, collezionisti, enti pubblici e privati. Zerial Art Project sostiene l’arte e la sua democratizzazione come motori di sviluppo culturale e mira a sostenere gli artisti mantenendo la loro indipendenza di pensiero e di ricerca. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 ho trascorso tre mesi in Zimbabwe. È stato un viaggio per me molto significativo. Lì ho effettuato studio visit, preso contatti e cercato di inserirmi il più possibile nel tessuto culturale, soprattutto a Harare, la capitale. Sono sempre stata affascinata e incuriosita dalle culture e dai linguaggi lontani: ti permettono di aprire lo sguardo e abbracciare la diversità. Dal 2020 ho infatti attivato nuove collaborazioni con il continente africano.
La mostra Embodied Histories – Mukudzei Muzondo e Peter Musami nasce da qui. Entrambi gli artisti lavorano su tematiche a me care, le dinamiche socio-culturali e la potenza rigenerativa dell’Arte – sempre in chiave positiva. Mukudzei Muzondo e Peter Musami non hanno mai esposto non solo in Italia, ma in Europa; ho aspettato il momento più opportuno e la Biennale d’Arte di quest’anno Stranieri Ovunque mi è sembrata perfetta. Ho pensato al progetto della mostra e ho invitato la curatrice Alice Montanini, la quale ha sviluppato le tematiche e selezionato le opere che ho fatto realizzare appositamente per la mostra. Il catalogo inoltre verrà corredato da un’intervista inedita ai due artisti, realizzata da Valerie Sithole – curatrice della National Gallery di Mutare in Zimbabwe. La cultura è una serie di valori e pratiche che danno significato a una società; ha anche il compito di costruire ponti, creare prospettive di sviluppo ispirandosi al tessuto locale, con una componente fondamentale che si chiama libertà. La Fondazione Marta Czok inoltre è perfettamente in linea con questa visione».
Alice, ci parli di questa mostra dal punto di vista curatoriale?
«La mostra si propone di offrire uno sguardo sulla complessità del contesto post-coloniale dello Zimbabwe, invitando lo spettatore a confrontarsi con le implicazioni politiche, etiche e culturali di un passato che risuona ancora vivido e che continua a permeare profondamente sia l’esperienza individuale che quella collettiva. La centralità della cultura Shona, che accomuna la ricerca artistica di Musami e Muzondo, rappresenta un legame vitale con le proprie radici culturali, indispensabile a preservare la propria identità dalla contaminazione coloniale. Attraverso l’uso del linguaggio figurativo, Muzondo trasforma il proprio corpo in un veicolo di espressione e critica nei confronti delle conseguenze del colonialismo, rivelando la complessità delle relazioni di potere e delle dinamiche di dominazione che ancora influenzano la società contemporanea. Nelle opere presentate in mostra, la sua indagine si concentra principalmente sulla tematica dell’identità nel contesto dell’esperienza migratoria. La ricerca artistica di Musami ha condotto l’artista ad esplorare la dimensione spirituale e religiosa che caratterizza la cultura Shona. Attraverso il suo intervento fatto di strappi, tagli e cuciture, la tela si trasforma in luogo cicatriziale di guarigione, dove il ritorno alle origini si configura come un’azione di resistenza, volta a rimarginare le ferite causate dal colonialismo».
Jacek, come si contestualizza questa mostra all’interno della programmazione di Fondazione Marta Czok?
«Come Fondazione Marta Czok, la nostra visione è quella di promuovere un contesto in cui l’arte si possa confrontare con la società, riflettendo su tematiche sia locali che globali. Sotto questa prospettiva, siamo rimasti colpiti dalla progettistica di Zerial Art Project e la vediamo in perfetta sinergia con il nostro modus operandi. Il titolo della Biennale 2024 è stato uno spunto per riflettere sulla complessità del concetto di “straniero”: un concetto che è particolarmente inerente alle opere della nostra Collezione e che abbiamo affrontato anche nella mostra di apertura della stagione di Biennale, con Marta Czok EX_PATRIA. Le opere di Muzondo e Musami colpiscono nel loro impatto visivo, nel loro contrasto tra astrazione e figurativo e nelle diverse connotazioni sociali che vi troviamo racchiuse. Siamo orgogliosi del fatto che questa sia la loro prima esposizione in Europa e che questa rappresenti un importante dialogo con il contesto culturale dello Zimbabwe».
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