Živa Kraus, Unica – Marina Bastianello Gallery

di - 27 Aprile 2022

“Erano i primi anni degli anni ‘70, a Venezia. Nella zona della Salute io ci andavo quando mio padre mi portava con sé. Si occupava di coordinare il lavoro di alcuni motoscafi che trasportavano un turismo stagionale molto diverso da quello di oggi.
I ricordi di quegli anni non sono perfettamente nitidi, alcune zone di memoria sono rimaste inalterate, mentre altre hanno bisogno dello sguardo altrui per costituire un’immagine completa e coerente. Il mio mondo era abitato da molti motoscafisti e da alcuni artisti, erano loro gli adulti di riferimento che negli anni avrebbero dato un imprinting al mio futuro, determinando il mio bacino d’interesse: la passione per il mare e l’amore per l’arte.
Quando ero lì spesso si andava a mangiare dalla Dagma, una donna di origini tedesche la cui madre sapeva suscitare l’attenzione degli avventori per l’originalità del suo abbigliamento, altre volte invece si andava a mangiare da Caretin. Il posto che io preferivo di più però era Sonei. Sonei non era un ristorante, era un’officina, si riparavano motori marini e al suo interno c’erano degli animali da cortile a cui, ogni tanto, veniva tirato il collo. I pasti spesso erano preparati da Olivo, un motoscafista la cui pancia gonfia e tesa mi veniva mostrata associando il suo volume ad una gravidanza. Spesso tra loro c’era anche Luciano, detto lo scheletro per la sua costituzione longilinea e scarna. Lui era un tipo con la barba e gli occhi chiari, estroverso, vestiva in stile marinaresco e ricercato, sulla giacca portava improbabili medaglie e bottoni dorati, e tra le nocche sfoggiava voluminosi anelli d’oro. Con lui mantenni il rapporto negli anni, crescendo, mentre altri personaggi sparivano e si facevano ricordi.

Živa Kraus – ritratto

Quando andavo da Sonei mi veniva dato un piccolo banchetto in legno e alcuni blocchi e matite in modo che potessi passare il mio tempo. Io giocavo lì, disegnavo, guardavo gli animali e mi veniva mostrato come si montavano e smontavano i motori delle barche. All’interno dell’officina c’era un ampio cortile, ci si poteva giocare stando lontano dai canali e dai pericoli. I pasti venivano serviti proprio in quella corte a tratti sterrata, su di un lungo tavolo, dove all’ora di pranzo si aggregavano persone molto diverse tra loro che vivevano o lavoravano nei paraggi. Fu lì che incontrai per la prima volta Emilio Vedova, veniva a farsi saldare i metalli, sempre vestito di nero, ricordo di averlo visto studiare per ore i movimenti di una corda, anch’essa nera, e del suo torcersi e ricadere su se stessa. Io, con il mio tavolino e i miei fogli, disegnavo navi, sempre e solo navi. Il Maestro non parlava o giocava molto con me, ma più di una volta mi aiutò a colorare di scuro il mare delle mie imbarcazioni; immergeva le dita in un barattolo di grasso o in una tanica di olio motore e, colorando la carta con della stoppa presa dal tavolo degli attrezzi, dava materia al tutto, anche agli scarabocchi di un bimbo.
Ziva era lì con lui, il suo volto niveo e le sue labbra rosse si contrapponevano al nero dell’immagine che comunicava Vedova. Quei tre colori ricordo di loro, gli stessi colori che poi avrebbero caratterizzato una parte importante della storia pittorica del maestro.
Era una ventata di eleganza, di modi e di pensiero, in un mondo di uomini rumoroso e maschio. Queste figure, istintive e sincere, andavano a costituire quello spicchio di Venezia di allora e le prime immagini della mia infanzia, un triangolo di terra i cui lati d’acqua erano il Canal Grande, il Canale della Giudecca e il Rio de la Fornace”.

Živa Kraus
 – Portrait

2022. In tutti questi anni Živa ha vissuto Venezia e ne è diventata un personaggio chiave. Dalla vicinanza a Emilio Vedova e Peggy Guggenheim all’apertura dell’Ikona Photo Gallery nel 1979, viene definita da Viana Conti come “una […] innegabile precorritrice dei tempi nella valutazione della fotografia, in genere, e di quella a colori, in particolare, come opera detentrice di un suo linguaggio e di un suo statuto d’arte. Fotografia, quindi, come oggetto estetico, leggibile, in quanto tale, al di là di un preteso pittorialismo degli esordi o di un documento oggettivo del reale o, ancora, di un reportage giornalistico da inviato speciale”. Un percorso, quello dell’Ikona, che ha coerentemente puntato su un unico mezzo espressivo per esplorarlo, sviscerarlo, dotarlo di significato.
Il percorso da gallerista ha forse fatto sì che lo sguardo del pubblico si posasse più su questo aspetto della sua ricerca che su quello pittorico, anche se portato avanti con altrettanta dedizione e coerenza. “Unica”, mostra che la Marina Bastianello Gallery le ha dedicato, va proprio in questa direzione, il desiderio di portare a galla la ricerca decennale di un’arista come Živa Kraus.
Una mostra che si snoda tra carte e video incorniciati da frame che diventano parti integranti delle opere proposte. Più che una sequenza di lavori bidimensionali, la mostra è stata concepita come un’unica grande installazione dove la saturazione dello spazio diventa un modo esplicito per sottolineare la densa produzione e l’intensa ricerca dell’artista. L’energia con cui porta avanti da anni il suo stare in territorio lagunare si concretizza attraverso disegno e pittura in esplosioni di forza ben controllate, ma al contempo ancora piene della potenzialità del gesto. Una donna e un’arista ancora in grado di alzare la voce, facendo vibrare di energia i segni a cui dà corpo.

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