Sara Enrico (Biella, 1979), in dialogo alla mostra centrale “Il latte dei sogni” ai Giardini con Carla Accardi e Jacqueline Humphries, è la seconda artista del nostro speciale dedicato alla Biennale ad essere intervistata. Con l’artista tracciamo alcuni focus sul suo lavoro e sul suo percorso.
Come puoi descrivere la tua ricerca e la tua opera oggi, a seguito di anni ricchi di progetti, residenze, premi ed esposizioni nei quali il tuo lavoro si è caratterizzato per autorialità e rigore all’interno di una concentrazione riflessiva sulla pelle e sul corpo della scultura?
Centrale è l’interesse verso le implicazioni che esistono nel rapporto tra la superficie, o pelle, dell’oggetto e la sua forma e sostanza materiale. Mi sono concentrata su alcune questioni che riguardano le relazioni tra corpo e abito, considerando la scultura come una forma fluida, ibrida, e mettendo in atto combinazioni di materiali e procedure che si riferiscono ad ambiti anche distanti tra loro. Negli ultimi anni mi interessa molto anche l’idea di lavorare orchestrando le opere in una drammaturgia oggettuale dentro lo spazio. Qui le singole presenze, già in sé stratificate e prese in un gioco di rimandi reciproci, partecipano di una strana visione complessiva alla quale ho dato avvio. Una narrazione e una visione che stanno in bilico, sospese su un complesso di sviluppi non definitivi, aperti.
Puoi indicarci le occasioni, gli studi, le esperienze e le pratiche che negli ultimi anni hanno più significativamente partecipato allo sviluppo del tuo lavoro?
Naturalmente sono molte cose insieme. Gli incontri con le persone sono importanti. Ricordo il 2012 soprattutto come anno di ricerca e di scambi molto proficui con alcune aziende del territorio torinese con le quali mi trovo tuttora a collaborare per la produzione di diverse opere, le prime fra queste presentate alla GAM di Torino. Quell’anno è stato anche il mio ultimo insieme a Progetto Diogene, programma di residenze internazionali e workshop e nel 2016 segue un’altra collaborazione, con Laboratorio del Dubbio: un format cross-disciplinare in sette capitoli. Nel 2014 la mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e a Les Instants Chavirés di Montreuil. Più avanti, nel 2019, il progetto sostenuto da Italian Council. Realizzato con Mart di Rovereto, Nàrodnì galerie Praha, SIC di Helsinki ed Untitled Association di Roma, e presentato in una mostra pensata in due atti ed ospitata rispettivamente al Mart di Rovereto e alla Nàrodnì galerie Praha. Per quest’ultima anche la pubblicazione di un volume, edito da NERO, in collaborazione con Mart. Infine alcune residenze, in particolare alla Fondazione Ratti di Como e ad ISCP- International Studio & Curatorial Program- a New York, per il premio omonimo, dove sono nati molti dialoghi, alcuni dei quali sono continuati nei progetti che sarebbero poi seguiti. Nel 2021, sono stata Italian Fellow in Visual Arts presso l’American Academy a Roma.
Nella tua esperienza anche l’insegnamento …
Per dieci anni ho insegnato Storia dell’arte e Disegno in un Liceo Scientifico a Torino; dal 2019 ho invece il corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bergamo. Pensando all’esperienza che sto vivendo in Accademia, ti direi che è la costruzione di uno spazio di dialogo e di sperimentazione in cui raccogliere prospettive ed ambizioni diverse…Per sostenerle, aiutarle e metterle in crisi se necessario, divertendosi, senza perdere quella leggerezza e sprezzatura che servono a creare profondità.
Per la realizzazione del tuo progetto in Biennale hai avuto la necessità di aprire nuove collaborazioni o specifici sostegni?
Negli anni mi hanno aiutata i premi, i grant di produzione ed alcune collaborazioni; per questa occasione ne ho aperte di nuove.
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