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Alberto Savinio, il polifonico
Arte moderna
Possiamo immaginare che avrebbe apprezzato la sua mostra nelle sale di palazzo Altemps, magari provocando un po’ di invidia al suo ingombrante e difficile fratello. Con la complicità di uno dei musei più raffinati di Roma, dove l’archeologia si sposa in maniera perfetta con sale affrescate di proporzioni perfette, Ester Coen è riuscita a curare in maniera impeccabile Savinio. “Incanto e mito”, aperta fino al 13 giugno: una rassegna che riunisce 90 opere di Andrea De Chirico, meglio noto come Alberto Savinio, concepita come una sinfonia giocata su contrappunti, assonanze, vuoti e pieni, dialoghi e confronti mai banali. “In uno spazio come questo non era possibile immaginare un’antologica-spiega la curatrice- e quindi ho lavorato su un percorso che coinvolgesse l’intero piano nobile del palazzo, per raccontare la poliedrica e multiforme personalità dell’artista, che non aveva una mostra a Roma dal 1978”.
Ma non basta: come suggerisce il direttore del museo Stéphane Verger, in alcuni casi ci sono riferimenti precisi tra i reperti archeologici e i fantasiosi dipinti di Savinio, come l’Apollo del 1931, una tempera su tela dove la posizione della divinità deriva dal famoso Hermes Loghios della collezione Boncompagni Ludovisi, restaurato nel XVII secolo dallo scultore Alessandro Algardi. Del resto, lo stesso Savinio ha dichiarato che “il gioco dell’arte non è se non una lunga, infinita variazione” come dimostrano le opere in mostra, realizzate per lo più tra il 1925 e il 1931, quando il pittore risiedeva a Parigi. Un artista che la Coen definisce polifonico: “Polifonia come segno di un artista pirotecnico e sperimentatore: musicista, pittore, costumista, scenografo, polemista, critico”. Il mondo di Savinio, a differenza di quello del fratello Giorgio De Chirico, si nutre di assonanze con altre discipline ed è caratterizzato da un umorismo sarcastico, a tratti malinconico ma sempre allegro e vitale. Stupefacente la grande sala, ampia e spaziosa, dedicata ai “giocattoli” come Les rois mages (1929), o Le Navire perdu (1928), dove le sagome umane, presenti in opere intense e misteriose come Il vecchio e il nuovo mondo (1927) vengono sostituite da scatole, trottole, sfere e cappelli multicolori. Una serie di volatili sono protagonisti di alcuni capolavori del maestro, dalla Vedova (1931) alle Due Sorelle (1932) dove le pingui signore hanno colli e volti di struzzi e trampolieri, che sembrano usciti dalle incisioni di Grandville, noto illustratore francese del XIX secolo.
“Un’altra assonanza curiosa – aggiunge la curatrice – è la presenza del fulmine in molte opere di Savinio: una saetta simile a quella che colpisce il ponte nell’impresa araldica del cardinale Marco Sittico Altemps”. Se un fulmine attraversa il corpo di Achille in L’ira di Achille (1930), una saetta è protagonista dei dipinti Fin de tempête (1930) e Le Temple foudroyé (1931).
Inattesa e interessante la sezione, piccola ma preziosa dedicata al Savinio scenografo, con i bozzetti dell’Edipo Re, andato in scena Teatro alla Scala di Milano nel 1948, e quelli dei Racconti di Hoffmann, rappresentato alla Scala l’anno seguente, del quale è esposto anche il grande sipario, che raffigura Hoffmann e la musa (1949). Una piacevole scoperta anche gli ultimi dipinti dai toni scuri e fiabeschi come Castel Luna (1949) o Il giorno sul borgo (1950) ai quali la curatrice ha dedicato il giusto spazio, mentre la conclusione del percorso è affidata alla piccola tela L’aquilone (1932), quasi un messaggio di speranza. Infine, in puro stile saviniano, il bel catalogo sotto forma di enciclopedia, edito da Electa e curato da Ester Coen con la collaborazione di 31 personalità provenienti da mondi diversi che hanno redatto 107 voci: un vero e proprio survival kit per approfondire il polifonico universo di Alberto Savinio.