Ferine Creature. Centauri, fauni, miti nell’opera di Jules Van Biesbroeck e nell’immaginario moderno, Galleria BPER Banca, Modena
A distanza di sei anni dalla mostra Anima delle cose (2019), La Galleria BPER di Modena celebra nuovamente l’opera di Jules van Biesbroeck, grazie alla mostra Ferine Creature, affidata alla curatela di Luciano Rivi, che intende condurre il pubblico in un percorso inedito, incentrato sulla figura mitologica del centauro, emblema di una duplicità primordiale.
Ferine Creature. Centauri, fauni, miti dell’opera di Jules van Biesbroeck e nell’immaginario moderno è una mostra che, a partire dalla figura del centauro, si addentra nel cuore della mitologia occidentale, un viaggio tra simboli e riflessioni contemporanee sulla condizione umana. L’intero percorso espositivo è imperniato sul rapporto dialettico tra razionalità e pulsione, sul binomio umano-ferino, apollineo e dionisiaco. Nell’affrontare tale conflitto, La Galleria BPER ha scelto di celebrare la figura mitologica che meglio incarna tale dualismo, portando in scena alcune opere che consacrano la prevalenza dell’istinto ferino, pulsionale, istintuale ed altre che riflettono invece la necessità che tale spirito sia soffocato e domato dalla razionalità, rappresentata dalla parte umana del centauro.
All’interno del piccolo scrigno de La Galleria BPER ci si addentra in un percorso di 60 opere, articolato in tre nuclei espositivi. Nel primo, dedicato alla produzione di van Biesbroeck, figurano 16 delle circa 40 opere dell’artista belga custodite dalla banca, integrate da prestiti di importanti collezioni e musei. La seconda sezione è animata da una ricca quadreria, sculture e incisioni che cercano di mettere a fuoco la narrazione simbolista di fine Ottocento più attenta al mito nelle sue varie declinazioni: dal capostipite dei simbolisti Arnold Böcklin a Max Klinger e Franz Von Stuck, fino ad artisti italiani quali Mario de Maria ed Ettore Tinto. Un universo di centauri, satiri, ninfe inseriti in un mondo selvatico che il simbolismo amava indagare mondi fantastici come alternativa a quella società moderna industrializzata che andava consolidandosi.
Tali artisti vedevano nella modernità l’abbandono dell’intimo spirito naturale, appunto, ferino. Il centauro è lì a ricordare che quell’anima primigenia, animalesca, sebbene soffocata dalla razionalità, continua a vivere in noi.
Infine, l’ultimo corpus di opere indaga i significati che il centauro assume nel corso dei secoli fino alla contemporaneità: dal centauro meccanico della pittura futurista alla recentissima interpretazione che ne dà Wainer Vaccari con la sua opera Sono chirone…sono tornato, prodotta nel 2025.
Pittore e scultore cosmopolita, Jules van Biesbroeck nasce a Portici nel 1873 da genitori belgi che si trovavano in Italia per via dell’interesse paterno, anch’egli artista, per la cultura del Grand Tour che nei secoli precedenti aveva suscitato grande fascino ed entusiasmo negli intellettuali europei.
Nonostante il conseguimento degli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Gent, l’artista mantenne un legame indissolubile con la sua terra d’origine che incise largamente sulla sua produzione pittorica.
L’Italia apparve agli occhi del giovane Van Biesbroeck come luogo dove avvertire l’eco di una civiltà millenaria, ricco di suggestioni provenienti da un passato intriso di umori classici. I paesaggi che lo accolsero tanto a Palermo quanto in Liguria, a Bordinghera, si sarebbero trasformati in luoghi dell’anima, evocativi e misteriosi.
Il critico Vittorio Pica riconosceva nei suoi lavori un corretto equilibrio tra la restituzione di un dato di natura e una capacità di traduzione formale a carattere idealizzante. Egli condivideva con gli artisti del suo tempo quella complessità psicologica, quel senso di inadeguatezza nei confronti del mondo industrializzato che andava affermandosi. A quel punto, il mito si mostrava come luogo dove indagare le leggi dell’universo, dove rintracciare il primitivo legame tra uomo e natura. Da qui, la maturazione di un linguaggio simbolista che lo avvicinò ai grandi del suo tempo.
«In un contesto culturale nel quale si è soliti celebrare solo i grandi maestri, diviene cruciale porre sotto i riflettori anche gli artisti meno noti», ha affermato Luciano Rivi. «Si è scelto di individuare un artista ai più sconosciuto la cui produzione pittorica risulta fitta di echi e richiami ad altri nomi di indubbia notorietà. Attraverso la sua pittura si entra in contatto con i grandi maestri di fine Ottocento quali Klinger, Böcklin, Von Stung. Alcuni rintracciano nei suoi dipinti anche l’influenza di Kirchner, in particolare nell’opera che è il fulcro della mostra dal titolo Centauro che uccide un cervo». L’obiettivo è stato dunque quello di infittire e completare la narrazione della storia dell’arte tra ‘800 e ‘900 facendo emergere un artista che non ha assunto nel tempo la stessa risonanza dei grandi maestri della pittura.
L’arte europea a cavallo tra il XIX e XX secolo continuava a sondare le possibilità di sfruttare le opportunità del mito per cercare di dare risposta a interrogativi e tormenti dell’epoca. La figura del centauro e, più in generale, dell’essere “bimembre”, a metà tra uno spirito umano e un ordine bestiale, avrebbe continuato per lungo a tempo a svolgere il suo ruolo interrogativo: razionalità e intelletto contro istinto e pulsione, spesso mostruosamente raffigurati. Così, la metà equina ci riporta ad una condizione di natura.
La riscoperta del repertorio mitologico, nella seconda metà dell’Ottocento, deve molto ad alcuni artisti che compaiono nel percorso espositivo selezionato da Luciano Rivi. Nella mostra si incontrano la sensibilità nordica di Arnold Böcklin, chiaramente richiamata dallo Studio per Il felice soggiorno di van Biesbroeck; l’incontro tra sogno e realtà nella serie visionaria degli Intermezzi, Opus VI di Klinger, in particolare le quattro rappresentazioni nella cartella di dodici, dove in un paesaggio naturalistico e reale si scorge un trionfo di centauri; i satiri e le ninfe nei dipinti ad acquaforte di Franz Von Stuck inseriti in un’atmosfera di attesa misteriosa.
Il mito domina anche la terza sezione del percorso espositivo il quale racconta l’evoluzione della figura del centauro dal Cinquecento fino ai giorni nostri. La narrazione attraversa il secolo XVII con Apollo e Marsia del Guercino del 1618, l’Ottocento con la raccolta di stampe di Ennio Quirino Visconti. Qui il centauro è parte di un corteo bacchico e ha lasciato da parte tutte le sue velleità selvatiche e istintuali per introdursi in questo banchetto con un ritmo scandito secondo i dettami del classicismo.
Negli anni ’30 del Novecento, gli archetipi figurativi classici non furono abbandonati dal Futurismo che li ripensò alla luce delle moderne tecnologie e delle metafore in voga. Il centauro è inteso come “corridore motociclista” come testimonia il Dizionario moderno di Alfredo Panzini nell’edizione del 1935. Il macchinismo futurista guarda ai poderosi cavalli da tiro che compaiono nel capolavoro di Boccioni La città che sale.
A conclusione della mostra, l’opera di Wainer Vaccari, artista attento ai modelli nordici, in particolare al realismo magico di Klinger, il quale ritrae, in una cornice piena di mistero, il centauro Chirone che, dandoci le spalle, rivolge lo sguardo ad un volto che emerge da una pozzanghera.
Una mostra che permette di immergersi in un fitto tessuto mitologico, ricco di echi e rimandi artistici e letterari attraverso i secoli. In forza di una più ampia fruizione da parte del pubblico, l’esposizione sarà corredata da laboratori didattici e visite guidate per le scuole, attività collaterali pensate per i giovani visitatori nonché un percorso per visitatori non vedenti e ipovedenti che descrivono il ciclo pittorico.
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