Abbiamo visto i Girasoli di Vincent Van Gogh centinaia di volte e siamo rimasti sempre ugualmente affascinati ma c’è qualcuno che li ha osservati un po’ meglio ed è anche riuscito ad andare oltre lo stupore e l’ammirazione, riuscendo a scoprire nuovi particolari. Il dipinto, realizzato nel 1889, è uno dei pezzi forti del Van Gogh Museum di Amsterdam e, ammiratissimo dai visitatori di tutto il mondo, è stato praticamente impossibile rimuoverlo dalle pareti della sala, per condurvi uno studio approfondito, senza scatenare rivolte di massa. Ma se l’opera non va al laboratorio, il laboratorio va dall’opera, grazie alle nuove tecnologie di imaging portatile.
E così, un gruppo di ricercatori, restauratori e storici dell’arte si è messo a scandagliare ogni centimetro del dipinto, sia sul fronte che sul retro, e tutte le novità scoperte saranno presentate in una mostra speciale, aperta il 21 giugno e visitabile fino al primo settembre. Titolo dell’esposizione non è difficile da immaginare, “
Van Gogh and the Sunflowers”, d’altra parte stiamo parlando di risultati scientifici molto chiari e precisi. Tecniche spettroscopiche non invasive, ultravioletto, infrarosso, luce visibile e raggi X, praticamente un checkup completo, che ha previsto anche un confronto con gli altri Girasoli, quelli del 1888, conservati alla National Gallery di Londra.
Cosa hanno scoperto? Innanzitutto, la prova schiacciante in ogni giallo che si rispetti: le impronte digitali. Iniziamo col dire che di solito sulle opere di Van Gogh si trovano cosa ben più strane, per esempio una cavalletta mummificata sotto uno strato di pigmento. In questo caso, la scoperta è meno macabra ma più interessante: due impronte sulla parte superiore dei girasoli, nel punto in cui l’artista inserì un supporto in legno per estendere la tela, un’operazione che Van Gogh fece tempo dopo aver realizzato l’opera, reputandola troppo piccola. Ella Hendriks, professoressa di restauro e conservazione presso l’Università di Amsterdam e a capo del team, ha dichiarato che con ogni probabilità si tratta proprio di “quelle” impronte. D’altra parte, non è difficile avere una conferma, visto che abbiamo diversi altri campioni delle impronte digitali, sicuramente di Van Gogh. Hendriks è rimasta sul vago non per amore della suspense, bensì perché le impronte sono troppo indistinte per una comparazione ma visto che il legno venne aggiunto proprio da Van Gogh, non c’è motivo di dubitare che siano le sue.
Per la prima volta sarà esposta anche la parte posteriore della tela, mostrando gli interventi di Van Gogh sulla struttura del supporto, un punto di vista che ci può dire molte cose sul metodo di lavoro così poco ortodosso del grande artista, che era solito lasciare le sue opere al sole e al vento per giorni, per vedere l’effetto che faceva. E nemmeno i restauratori ci andavano troppo per il sottile, soprattutto quelli di qualche tempo fa. Nel corso degli anni, infatti, diversi sono stati gli interventi, alcune volte anche piuttosto invasivi. Per esempio, gli studiosi sono riusciti a risalire a uno strato di vernice apposto nel 1927 per “rinfrescare” il colore originale e quindi successivamente rimosso, una pratica molto in uso nel XX secolo ma oggi molto di meno. L’ultimo intervento discutibile risale alla fine degli anni ’90: una fodera di resina per fissare la vernice e diventata in seguito bianca, che è stata definitivamente eliminata in questo ultimo studio.
In ogni caso, dobbiamo sapere che la tonalità che oggi hanno assunto i Girasoli è molto diversa rispetto a quella originariamente voluta da Van Gogh ma ogni restauratore sa bene che anche il tempo è un pittore. Uno dei conservatori ha realizzato una ricostruzione parziale dell’opera per dare ai visitatori un’idea di come doveva apparire. Proprio per questa estrema fragilità, il Van Gogh Museum ha vietato ogni prestito, almeno per il momento.
In alto: Courtesy Van Gogh Museum © Maartje Strijbis