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Da Medardo Rosso a Bruno Munari ad Arte Fiera 2020
Arte moderna
Arte Fiera 2020: è già tempo di bilanci su presenze, vendite, ma anche qualità delle opere. Un ruolo di primo piano in tal senso lo giocano immancabilmente le opere storiche concentrate nel padiglione 18. Difficile stilare una graduatoria tra opere i cui autori sono ormai saldamente consegnati alla storia. Tuttavia è possibile valutare la proposta espositiva e gli abbinamenti che di quelle stesse opere hanno proposto le diverse galleria. Partiamo con i solo show. La Galleria dello Scudo di Verona presenta una piccola personale di Gastone Novelli. Quattro opere notevoli nelle dimensioni e nella qualità, datate tra il 1962 e il 1965, testimoniano il percorso speculativo di un artista capace di dare una declinazione tutta personale a un’arte, come quella informale, che in anni coincidenti iniziava a ripetersi in formule stanche e stereotipate. Quelli sono anche gli anni in cui l’artista manifesta apertamente il suo dissenso verso il sistema dell’arte, sintetizzata nel celebre incipit “Ecco qua. Sì, cari amici, e nemici, e sconosciuti, andate a farvi fottere”, mostrando una volta di più una sensibilità artistica lontana da compromessi e scelte di comodo. Un solo show è anche quello che la Galleria Benappi di Torino dedico ad Aldo Mondino. Una piccola retrospettiva che punta alla dimensione installativa, focalizzando l’attenzione del visitatore sulla parete maggiore su cui si dispiega il grande assemblaggio di Tappeti stesi realizzato su eraclite – un tamburato industriale – dal 1985 in poi, capaci di trasformare lo spazio in un suk maghrebino. Un camouflage materico, pittorico, ambientale che rivela la profonda passione dell’artista per l’Oriente. D’altronde proprio a Tangeri Mondino ebbe la visione dei suoi tappeti stesi, trovando casualmente un pezzo di eraclite che ai suoi occhi da miope sembrò un pezzo di tappeto. Granelli di Castiglioncello punta invece tutto su Pino Pascali – al quale in più occasioni ha dedicato mostre e pubblicazioni – esibendo un cospicuo numero di disegni realizzati dall’artista pugliese nei primi anni Sessanta, gli anni eccellenti per il suo impegno visionario nel mondo della pubblicità, ma soprattutto per la sua febbrile ricerca “poverista” (le virgolette sono d’obbligo), a cui esplicitamente rimanda un piccolo Baco da setola in cui l’artista si diverte a simulare un baco da seta con sei scovoli sintetici. Una serie di opere giustamente famosa che rinvia all’idea di trasformazione nel soggetto quanto nei materiali rapportando, in un confronto irrisolvibile, natura e industria, bellezza e meschinità, funzione e futilità. Suggestiva anche la proposta di Arte Invernizzi di Milano che presenta uno stand monografico su Mario Nigro, artista in bilico tra astrattismo geometrico e propensione optical. Suggestionato dalle idee futuriste, suprematiste e neoplasticiste, Nigro ha studiato i rapporti tra forme e colori creando infinite variazioni cromatiche e plastiche, fino ad arrivare alla teorizzazione di uno spazio totale “dove forma e spazio si risolvono a vicenda in un superamento della bidimensionalità fisica” ha scritto l’artista.
La riscoperta di mercato e non di Bice Lazzari
Un approfondimento importante è anche quello proposto dal londinese Richard Saltoun sulla pittrice Bice Lazzari, cognata di Carlo Scarpa, tra le protagoniste dell’astrattismo italiano tra anni cinquanta e sessanta. L’artista vive attualmente un momento di riscoperta, complici anche il suo nuovo record in asta, raggiunto appena sei mesi fa, e la retrospettiva tuttora in corso al Museo del Novecento a Firenze. Le opere esposte bene rappresentano la maturità dell’artista, che raggiunge “la poetica del segno” (questo il titolo della mostra fiorentina) coniugando astrattismo lirico e astrattismo geometrico, non senza giungere ad anticipazioni importanti per la pittura analitica. Proprio all’astrattismo geometrico italiano, con i cui esponenti la stessa Lazzari ha avuto assidui contatti, è interamente dedicato lo stand di Cardelli&Fontana di Sarzana. Oltre trenta lavori eseguiti, tra gli anni Trenta e Cinquanta, da Veronesi, Radice, Rho, Soldati, Ghiringhelli ma anche da Bozzola, Bertini, Crippa e Bisanzio, rievocano la straordinaria esperienza della Galleria Il Milione, animata da Kn, fondamentale saggio teorico di Carlo Belli, e la superano mostrando gli esiti di quella stagione riversati nelle ricerche della generazione successiva.
Nature morte a confronto tra moderno e contemporaneo
Una precisa visione curatoriale caratterizza la proposta espositiva della Galleria Maggiore di Bologna che omaggia il genio di Morandi, di cui presenta tre nature morte (due tele e un’incisione), con un confronto, in un transfert plastico, con le nature morte di Luigi Ontani, Sissi e Bertozzi&Casoni. Non meno suggestivo è il dialogo generato da Studio Vigato di Genova con opere di Vettor Pisani, Giulio Paolini e Stefano Di Stasio. Il primo, con le sue mistiche visioni, sembra fungere da trait d’union tra il raffinato, a tratti criptico, concettualismo di Paolini e il classicismo di Di Stasio.
Tra futurismo e astrattismo, da Balla a Dorazio
Collettive eterogenee e prive di un preciso filo conduttore sono, invece, quelle allestite, tra le altre, da Tornabuoni (che propone in uno stand distaccato anche una piccola retrospettiva di Dorazio), Mazzoleni, tra i pochissimi a vantare opere di Burri e Fontana, Il Castello di Milano con una bella parete di Alighiero Boetti, Farsetti di Milano, Rossovermiglio di Padova, con due splendidi Mathieu del 1956 e del 1958, e infine Russo di Roma e Cinquantasei di Bologna. Riguardo a queste ultime, mentre la galleria romana presenta opere pregevoli di Medardo Rosso, Wildt e due Boccioni, uno del 1909 e l’altro del 1916, vale a dire uno prefuturista e uno postfuturista, la galleria bolognese accanto ad opere di Guttuso, De Chirico, Carrà e Sironi, presenta una significativa selezione di opere di Balla, del quale mette in luce le propensioni totalizzanti, tipiche del futurismo, allestendo una sala da pranzo, completa di credenza e tappeto.
Proposte storiche, rare ma pur sempre presenti, non mancano neppure nel padiglione 15, dove Maurizio Corraini di Mantova propone alcune belle opere di Bruno Munari, mentre Martini e Ronchetti di Genova continua la sua azione di rivalutazione di Lisetta Carmi, grande fotografa attiva fino agli anni Settanta, prima della svolta mistica e della conseguente, progressiva cessazione dell’attività, nota alla storia dell’arte del secondo cinquantennio soprattutto per i suoi celebri scatti ai travestiti di Genova e per i suoi molteplici ritratti di Ezra Pound, serie entrambe rappresentate in mostra.
I grandi assenti del Novecento in fiera
In ultima analisi va detto che non sono visibili in fiera opere di Afro, Capogrossi, Vedova che pure erano presenti nelle passate edizioni, sintomo forse questo di una sempre più consistente acquisizione da parte di istituzioni o collezionisti privati che di fatto ne hanno limitato sempre più la circolazione all’interno del mercato. Stessa cosa dicasi per artisti della generazione immediatamente successiva come Castellani, Scheggi e Lo Savio. Infine, pochissime sono le opere di Kounellis (presente solo da Mazzoleni con tre opere degli anni Duemila e uno dei celebri Senza titolo del 1961), artista la cui presenza in fiera fino a prima della scomparsa è stata sempre considerevole in termini di qualità e quantità. Evidente segnale di un mercato vorace che rapidamente sta esaurendo le opere ancora disponibili dell’artista.