Alfred Courmes, Portrait of Peggy Guggenheim, 1926, Olio su tela, 100x65 cm (dettaglio)
Molti mercanti d’arte non hanno resistito e per amore degli artisti (o per paura dell’anonimato) si sono fatti ritrarre e hanno per loro posato. Così oggi ne conosciamo i volti e ragioniam di loro con immagini ben precise delle loro caratteristiche fisiche: dagli orecchi divenuti gergo all’occhio svelto, attento alla penna e soprattutto al pennello. Ambrosie Vollard fu mercante di importanti fuoriclasse come Marc Chagall, Pablo Picasso, Georges Rouault e Vincent van Gogh, ma a noi è visivamente noto come Paul Cézanne l’ha presentato: in camicia bianca, con elegante papillon, e un abito delle stesse tinte del Mont Saint Victorie. Con la fronte alta, già pronta per la piazza, e il libro nella mano destra, è intento nella lettura e appare dotato di grande intelligenza.
Anche Pierre-Auguste Renoir lo ritrasse almeno tre volte: nel 1906 con la bandana e i baffi da tricheco lo fa risultare molto assorto e contemplativo. Due anni dopo appare appesantito ma sempre fiero ed elegante, intento a osservare un piccola scultura di nudo femminile. Con scuro copricapo e abito che par da torero ci viene dato infine al terzo tentativo: seduto su una chaise-longue comoda e curvata, con pantaloni a tre quarti e mocassini in vista, ha la barba curata e ci osserva con sfida.
Léopold Zborowski fu ritratto tre volte da Amedeo Modigliani che nel 1916 lo fece sedere vestito di marrone. Le mani sono giunte nell’attesa e la testa naturalmente alta sporge dal colletto bianco della camicia. L’orecchio destro è piatto ma si nota bene, mentre gli occhi piccoli si scorgono meno sotto le simmetriche sopracciglia ad ali di gabbiano. I capelli sono messi di lato e la barba è ben tracciata, ma l’espressione sembra di noia, come quella di chi non ama farsi mettere in posa.
Leo Castelli ha diverse varianti di colore con Andy Warhol e le sue serigrafie. Indossa giacca e cravatta di circostanza, con la testa appena inclinata, il mento a punta e l’aria interrogativa. L’orecchio a sinistra sporge bene e gli occhi sono evidenziati proprio perché devono servire.
A proposito d’orecchi: Alfred Courmes ritrasse Peggy Guggenheim con due orecchini diversi che forse erano quelli di Tanguy e di Calder, come leggenda vuole, per dimostrare imparzialità nella selezione. Indossa una maglia a maniche corte con una fantasia a scacchi sui toni del rosso, dell’arancio e del bianco, e compare seduta difronte a una baia rocciosa dove sta parcheggiata una cabriolet alla moda. Sembra seria e composta, anche se fra le nuvole finisce la sua testa.
Joseph Duveen fu forse ritratto da Abraham Mintchine su sfondo rosso, ma conoscendo la sua storia e i grandi colpi, probabilmente non ebbe molto tempo da dedicargli. E anche nel sicuro dipinto di Isaac Israëls appare fumante, impaziente e in attesa trepidante. Con l’altra mano in tasca e lo sguardo severo, ha delle orecchie importanti e un naso preciso. Dei baffi a triangolo coprono la bocca carnosa e ne rendono più vero il volto decisamente legnoso.
Paul Durand Ruel fu grande promotore della scuola di Barbizon e fu tra i primi a credere nella tecnica dell’impressione. Nel 1910 Renoir lo ritrasse con un pesante cappotto semi-sdraiato su un divano rosso. Canuto e con l’occhio assonnato, pare sognante o forse semplicemente stanco di comprare opere d’arte, ma del resto venne colto in quel particolare momento e subì la stessa sorte di tutto il resto.
Con più d’una sfaccettatura appare Daniel-Henry Kahnweiler per Pablo Picasso e la sua atmosfera cubica. In posizione frontale, con lo sguardo rivolto allo spettatore, anche lui ha le mani giunte e gli occhi pesanti ma le orecchie risultano assenti, forse coperte dai capelli gonfi. Al suo fianco sta una borsa che pare un lingotto e fa ben sperare per un solido guadagno.
Dudley Williams fondò la Williams & Everett nel 1855 e fu mercante di Jean-Baptiste Camille Corot e tanti artisti americani a noi meno noti come George Hitchcock, Albert Bierstadt e Henry Bacon. Nella gallerie dei ricordi appare grazie a Hubert von Herkomer che nel 1883 lo fa stagliare bene dal fondo scuro, con il collo della camicia alto e bianco, secondo la moda del tempo. Le labbra sottili sono chiuse e le orecchie sono più grandi del normale, o almeno così a me piace vedere. I capelli non sono molto in ordine ma con lo sguardo trasmette orgoglio e determinazione.
Di Lazare Duvaux, nato nel 1703, non conosco la fisionomia ma lo inserisco in questa lista per aver avuto tra i suoi clienti persino Madame de Pompadour e per esser passato alla storia come il primo mercante a vendere opere d’arte e curiosité.
Mentre Théodore Duret mi colpisce perché amava farsi immortalare in piedi, come nel 1883 da James McNeill Whistler o cinque anni dopo da Eduard Manet. Per quest’ultimo sta in abito scuro e si aiuta con un bastone, ergendosi di fronte a un piccolo sgabello ligneo che regge una brocca di cognac e un bicchiere. Dal taschino della giacca esce abbondante un fazzoletto e con la mano sinistra regge il guanto che ha sfilato dall’altra anzitempo. Sulla testa domina un cappello scuro che si ferma sulla fronte per mostrare l’orecchio curvilineo e sporgente. I baffi, la barba e le sopracciglia sono di un nero corvino e l’espressione è quella di chi ha letto molto, come suggerisce il libro a terra, malconcio. Lo sguardo obliquo e intimo appare appesantito e perplesso, come se la palpebra gli stesse cadendo. Così come il sipario, su questo sentito racconto.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
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