160 anni di arte e storia, in un discorso che dal passato arriva fino al contemporaneo, sono
raccolti a Oristano nella mostra “De Insula”, curata da Antonello Carboni e Silvia Oppo. Fino
al 4 settembre nei due spazi museali un percorso ricco e vario si apre ai visitatori, facendo
scoprire un inedito corpus di opere in grado di restituire le vicende artistiche dell’isola.
La mostra si apre al Museo Diocesano Arborense con la prima metà del racconto, dalla
metà del XIX secolo alla metà del XX. Introduce allo spazio uno dei due capitoli monografici: un nucleo di opere a carattere religioso. Il tema ricostruisce la fede degli artisti sardi indagando anche connessioni e committenza del mondo devozionale. La scansione inizia poi, cronologica e carica di collegamenti e suggestioni, con il vero e proprio percorso storico, che dalle opere dell’Ottocento passa agli artisti del primo Novecento. Il XX secolo, carico di nuove istanze, porta a una vera e propria definizione di sé da parte degli abitanti dell’isola, che, nella società come in letteratura, poesia e nelle arti visive, creano una nuova visione identitaria e mitica della Sardegna e del suo popolo. È un racconto che passa dal nuorese Antonio Ballero al giovane illustratore Giuseppe Biasi, da Filippo Figari a Tarquinio Sini, Mario Delitala, Carmelo Floris, Stanis Dessy e molti altri artisti del primo novecento come Francesca Devoto e le sorelle Coroneo. Ad accompagnare nel passaggio tra questi e la seconda metà del secolo Salvatore Fancello, Costantino Nivola e ancora Giovanni Ciusa Romagna, Eugenio Tavolara, Ubaldo Badas e da lì gli artisti nuovi del dopoguerra: Foiso Fois, Costantino Spada, Libero Meledina e altri ancora.
Prosegue la seconda parte della mostra alla Pinacoteca Comunale di Oristano. Introduce
allo spazio il secondo dei due capitoli monografici: la sezione dedicata alle arti applicate tra
Francesco Ciusa, la Scuola Ceramica di Oristano, Federico e Melkiorre Melis e altri. Segue il percorso da metà secolo ad oggi. Ad aprire l’arte in Sardegna ai linguaggi contemporanei arriva Mauro Manca nel 1957 e poi i nuovi artisti “che cercano di spazzare via, con violenza e accesa critica, tutto ciò che rappresenta la tradizione” scrivono i curatori. Sono il mite rivoluzionario Gaetano Brundu, il decano nuorese Gino Frogheri, il genio dal multiforme ingegno Tonino Casula, la maestra di luce, forma e colore Rosanna Rossi, l’artista intellettuale Luigi Mazzarelli, Igino Panzino e il suo indagare nel profondo, Pinuccio Sciola e il suo mondo, solido e scultoreo. A questi si aggiungono i sardi d’adozione come Angelo Liberati e il suo realismo pop, Primo Pantoli maestro dell’impegno politico e gli artisti esuli, vissuti tra ritorni e partenze, come Italo Antico ed Ermanno Leinardi, Zaza Calzia e Nino Dore, fino all’immensa Maria Lai. Seguono le successive generazioni di artisti, da Wanda Nazzari e la sua poetica astrattista alla magmatica esuberanza di Salvatore Garau, fino alle amorose armoniche materie di Marcello Simeone. Infine arrivano i più giovani figli del contemporaneo, ”un mondo in cui l’Io è esploso, fluido, e si cerca furiosamente di ricomporlo e dargli almeno una forma momentanea. Illusoria” scrivono i curatori. Tra questi La Fille Bertha con le sue icone atemporali, Roberto Chessa e la sua geometrica e tagliente natura fino ai mondi oscuri, meravigliosi e onirici di Francesca Randi, punta di diamante della fotografia in Sardegna.
A Oristano vive un racconto denso e corale dell’arte dell’isola che intreccia cultura e società,
cambiamenti, resistenze e creatività. Alla esposizione sono abbinati un ciclo di incontri formativi e di approfondimento tematico divisi in vari appuntamenti.
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