Inaugurata il 15 luglio, la nuova mostra curata da Antonio D’Amico e Federico Troletti, “Nel segno delle donne”, propone un excursus sul ruolo della donna a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, guardando alle rappresentazioni di alcuni tra i principali artisti dell’epoca, tra cui Boldini, Zandomeneghi, Dudreville, Corcos, Carrà, Sironi e Picasso.
Ad un anno dall’apertura dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti di Domodossola in Palazzo San Francesco, grazie al patrocinio della Regione Piemonte, apre questa mostra il cui sottotitolo, “Tra Boldini, Sironi e Picasso”, traccia un percorso composto da oltre sessanta opere dei grandi maestri dell’arte.
In questa cornice, la donna fa da protagonista e incarna i mutamenti politici, sociali e culturali dell’epoca come oggetto della rappresentazione artistica. I ritratti proposti mettono in scena diverse figure, ponendo l’accento sulle occupazioni che le donne in quegli anni svolgevano. Così la mostra presenta una raccolta di volti e di trame di vita quotidiana, in cui le figure femminili spiccano come intellettuali, lavoratrici, modelle, giovani e anziane, madri e figlie.
Indagando le influenze che la modernità dell’epoca ha avuto sulla zona di Domodossola, al centro della sala è esposto l’originale sipario del Teatro Galletti dipinto nel 1882 dallo scenografo ossolano Bernardino Bonardi. Qui sono raffigurate scene di vita quotidiana all’aperto in cui le figure femminili indossano abiti che, attraverso l’utilizzo di un variegato ventaglio di colori, rappresentano le diverse valli dell’Ossola.
La centralità della zona era data anche dall’inaugurazione del 1906 del traforo del Sempione che aveva consentito una comunicazione diretta con la Francia e soprattutto Parigi, uno dei centri nevralgici dal punto di vista culturale e artistico. Domodossola, anche grazie a queste influenze, viveva un clima di grande vivacità tanto che il Teatro Galletti ospitava il cinematografo e rappresentazioni di prosa e operistiche che attiravano il publico di tutta la zona del Lago Maggiore.
Antonio D’Amico, direttore dei Musei Civici di Domodossola e curatore della mostra, spiega: «È questo un progetto di ampio respiro, nato prima dell’ondata pandemica e che adesso vede la luce con una nuova spinta […]. La bellezza di tornare a Domodossola, studiandola dal cuore di Milano grazie all’accordo tra il Comune e la Fondazione Bagatti Valsecchi, mi concede un’analisi sul mondo femminile tra fine Ottocento e gli anni ’40 del Novecento, mettendo in evidenza la bellezza della pittura, con la sua palpabile sensualità, l’eroica visione del mondo e della società tra centro e periferia».
Le opere proposte vogliono, inoltre, mettere in scena le mutazioni del gusto estetico e della sensibilità di una società che viveva ancora a cavallo tra uno stile di vita per lo più rurale e le nuove avanguardie e innovazioni provenienti dai grandi centri urbani. La Domodossola del primo Novecento viene descritta anche dalle parole del poeta Giovanni Pascoli, i cui scritti autografi sono esposti in mostra.
È questa un’esposizione che, dopo le mostre “De Chirico De Pisis. La mente altrove” e “Balla Boccioni Depero. Costruire lo spazio del futuro”, si concentra sulla scoperta delle collezioni ossolane e del loro ruolo a livello internazionale e, grazie a importanti prestiti, restituisce un’analisi sul ruolo della donna come espressione della modernità del periodo.
Questo progetto è, infine, una riflessione sulla figura dell’artista come professionista che è in grado di catturare i mutamenti sociali e testimoniarli attraverso l’utilizzo di media artistici eterogenei.
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