Più che di riscoperta, si può parlare di nuovo posizionamento: la vicenda è quella di Giacomo Ceruti, in arte il Pitocchetto, il pittore degli umili apprezzato anche da Roberto Longhi e tra i più rappresentativi del Settecento, che dopo l’ampia mostra a lui dedicata al Museo di Santa Giulia, a Brescia, vola a Los Angeles, al J. Paul Getty Museum. “A Compassionate Eye”, uno sguardo compassionevole, questo è il titolo dell’esposizione curata da Davide Gasparotto e visitabile al museo losangelino fino al 29 ottobre. Per la prima volta è presentato al pubblico statunitense un gruppo di dipinti straordinariamente intensi di Giacomo Ceruti appartenenti alla Pinacoteca Tosio Martinengo: mendicanti e vagabondi, gli ultimi, gli emarginati e gli offesi, ritratti con un realismo affascinante e pieno di dignità, emotivamente profondi.
Per la mostra a Los Angeles ci si è concentrati sulle tele del cosiddetto Ciclo di Padernello, «Dipinti che si fanno ammirare non solo per la loro straordinaria forza espressiva ma che offrono anche lo spunto per una riflessione sulla disuguaglianza economica e sociale, ieri come oggi. Un tema che a Los Angeles – dove vive una popolazione di circa 70mila persone senzatetto – assume una rilevanza significativa, ha dichiarato Davide Gasparotto, Senior Curator of Paintings J. Paul Getty Museum.
Sebbene Giacomo Ceruti abbia avuto un notevole successo come pittore, è stato quasi completamente dimenticato dopo la sua morte. La prima riscoperta del suo lavoro risale ai primi decenni del XX secolo, soprattutto a seguito del ritrovamento di 13 suoi dipinti nel castello di Padernello, vicino a Brescia. Al Getty Museum sono esposte 12 di quelle opere, che divennero note come il “Ciclo di Padernello”. Gli studiosi si sono interrogati a lungo sulla loro storia e sul loro significato. Sono stati concepiti come un ciclo? Chi li ha commissionati? Qual era il loro scopo?
Negli Inventari settecenteschi dei beni di importanti famiglie bresciane, sono elencati dipinti con “pitochi” e “portaroli” attribuiti al Ceruti. Quando l’artista fu attivo a Brescia, negli anni tra il 1720 e il 1730, l’élite dirigente e il clero attuarono un piano di riforme sociali, per contrastare il problema della povertà. I personaggi raffigurati da Ceruti sarebbero appartenuti a quelli che la società considerava i poveri “redimibili”, individui che non rappresentavano un pericolo per gli altri e meritavano aiuto finanziario e spirituale. Tra loro c’erano giovani donne ospitate in istituti di beneficenza dove veniva loro insegnato a leggere e cucire e poi artigiani a basso reddito, uomini anziani ridotti a mendicare perché impossibilitati a lavorare, veterani di guerre con disabilità fisiche, giovani abbandonati dalle famiglie e costretti a vivere per strada e lavorare come facchini. Questi sono alcuni dei personaggi che compaiono nelle opere di Ceruti, che restituiscono, sul piano visivo, quel preciso contesto storico e sociale.
E in autunno, a Brescia, si terrà un’ulteriore tappa del percorso di affermazione di Ceruti tra i grandi della pittura, un’occasione in più per rinsaldare il legame tra Pinacoteca Tosio Martinengo e uno dei suoi protagonisti: il museo accoglierà infatti due “nuove” opere che andranno ad arricchire il già straordinario corpus, il più consistente al mondo, arrivando a 19 dipinti. Stagione autunnale piuttosto densa per la Pinacoteca, che ospiterà anche una mostra su Lorenzo Lotto, con una serie di rimandi e confronti con i maestri coevi come Savoldo, Romanino, Moretto e Moroni.
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