Pittura, scultura, design, video e poesia d’ispirazione arcimboldesca ossia “Face à Arcimboldo”, un percorso che dal cinquecento alla scena contemporanea rende omaggio al pittore lombardo attraverso 250 opere di 130 artisti, fino al 22 novembre al Centro Pompidou-Metz. Giuseppe Arcimboldo (1526-1593, Milano), artista manierista di successo, caduto nell’oblio dopo la morte, torna in auge con i surrealisti che lo erigono a guida, e non solo. “Face à Arcimboldo” rivela infatti come e quanto il pittore milanese abbia influenzato, consciamente o meno, il pensiero, la storia dell’arte e la creazione artistica di ieri e di oggi. Le arcinote nature morte antropomorfizzate non riassumono di fatto la ricchezza e l’apporto della sua creazione. Senza nessi cronologici e tematici le opere si dislocano in uno spazio sobrio e aperto, in una scenografia realizzata da Berger & Berger, al pianterreno dell’edificio progettato da Shigeru Ban e aperto nel 2010. Presenti le bellissime teste composte, quali Il Bibliotecario (olio su tela, 1566), La Primavera (olio su tela, 1573) e L’Autunno (olio su tela, 1573) – ritratti fantastici che rivelano in un magistrale accostamento di colori la caducità della vita – come i disegni conservati presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, degli Uffizi a Firenze che lo presentano quale autore di spettacoli e feste mascherate alla corte degli Asburgo, dove arriva nel 1562 su invito dell’Imperatore Massimiliano II, per passare poi al servizio del figlio, Rodolfo II.
Curata da Chiara Parisi, direttrice del Centre Pompidou-Metz, e da Anne Horvath, con la complicità di Maurizio Cattelan, la collaborazione di Yasha David e di due specialisti del manierismo, quali Patricia Falguières e Antonio Pinelli, la mostra propone uno sguardo inedito sull’artista milanese. Questa s’ispira a “Effetto Arcimboldo. Trasformazioni del volto nel sedicesimo e nel ventesimo secolo”, ossia la prima monografia dedicata all’artista e progettata da Pontus Hultén e Yasha David a Palazzo Grassi di Venezia nel 1987, di cui qui ritroviamo di Mario Merz, l’installazione composta da Omaggio a Arcimboldo, Cono e Table de Chagny, realizzata per l’evento veneziano. Quest’ultimo evento si è ispirato a sua volta a “Fantastic Art, Dada, Surrealism” del 1936, la mostra curata da Alfred Barr al MOMA di New York, dove Arcimboldo viene presentato come precursore della creazione moderna.
Chi troviamo a Metz? Daniel Fröschl, Duchamp, De Chirico, Dalì, Bacon, Baj, Boetti, Cattelan, Sherman, Messager, i Daft Punk, e non solo. Daniel Spoerri con Corps en morceaux (serie, 1993), in cui assembla diversi oggetti riciclati per creare figure umane con tanto di testa, braccia e gambe, ma anche Picasso con Fragment de pignate, décorée d’un visage (1950) o Chéri Samba con il coloratissimo Stupéfaction (acrilico su tela, 2009). Ewa Juszkiewicz con Untitled, da Elisabeth Vigée Le Brun (2020), ricopre il viso di una donna usando elementi del mondo vegetale, mentre Luigi Ontani in Bacchino (fotografia a colori, 110 su 200, 1970), posa nudo con il sesso ricoperto da grappoli d’uva. In questo universo mutevole intessuto da misteriosi legami tra l’umano, il vegetale e l’animale, si intravedono originali corrispondenze tra artisti tanti lontani quanto diversi. Si va da Patrick Neu con Maschera (2010) in cui riproduce un volto realizzato con fragili ali di api, a Lavinia Fontana con il bellissimo ritratto di Antonietta Gonzales al Gonsalvus (1594-1595), colpita dalla sindrome di Ambras, a Zoe Leonard con la sua serie fotografica Preserved Head of a Bearded Woman (Musée Orfila) del 1991, che vede una testa di donna con barba conservata in una teca di vetro, fino al film di Pierre Huyghe, Untitled (Human Mask) del 2014.
È disponibile un ricco catalogo per rivivere questa mostra imperdibile, con bellissime immagini e i saggi di Chiara Parisi e Anne Horvath e un intervento di Yasha David che ci parla della storica mostra del 1987. Inoltre, il saggio di Roland Barthes Arcimboldo, Rhétoriqueur et Magicien (1978), è pubblicato integralmente. Maurizio Cattelan chiude il catalogo con un manifesto, ovvero un inno alla banana, rimando alla tanto dibattuta installazione Comedian del 2019.
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