Se il giallo è sempre stato un colore più che rilevante nelle opere di Vincent Van Gogh, adesso diventa ancora più importante. Almeno in Italia, dove si può (finalmente) tornare ad ammirare i capolavori del maestro olandese, dopo mesi di blocco, proprio in virtù della stessa tinta assegnata dal governo alla regione Veneto, che consente di riaprire la mostra di Padova: “Van Gogh. I colori della vita”.
Dopo tre mesi di lockdown che ha fermato sul nascere la grande mostra ospitata dal Centro San Gaetano, dal 2 febbraio lo spettacolo dell’arte può continuare, sia pure con alcune limitazioni. In primis, con un monitoraggio costante della situazione epidemiologica, da cui potrebbero scaturire anche nuove chiusure. Per il momento la mostra viene autorizzata dal 2 al 12 febbraio, con le rivalutazioni sui possibili cambiamenti di colore delle regioni che avvengono, da parte degli organi preposti, ogni due settimane. Ma soprattutto, fino al 5 marzo, la mostra – come ogni altro ambiente di cultura del paese – continuerà a rimanere chiusa nei fine settimana, ai sensi dell’ultimo decreto ministeriale. Con la possibilità di vedere la mostra, per il momento, circoscritta unicamente ai soli abitanti del Veneto o poco più, visto che la mobilità è ridotta esclusivamente all’interno della regione e, quindi, limitata per coloro che vi risiedano o vi si trovino per ragioni di lavoro o altri motivi previsti dal decreto.
Un’autentica beffa, nonché un danno enorme, sia in termini economici che culturali, per una mostra-evento che fin dalle origini è stata presentata come un qualcosa di unico, mai realizzato prima in Italia. Non una mostra generica né tanto meno “una mera sfilata di quadri e disegni, che pur in molti casi sono capolavori notissimi”, come hanno voluto sottolineare gli organizzatori di Linea d’ombra, evidenziando la nutrita raccolta di opere (oltre 90 quadri, di cui 83 appartenenti a Van Gogh) provenienti dai più importanti musei del mondo. Si tratta invece di un lungo percorso il cui obiettivo è quello di far conoscere, passo dopo passo, alcune trame della vita e dell’opera dell’artista, non tutte esplorate così a fondo prima d’ora. Per una precisa volontà del curatore, Marco Goldin, di ricostruire l’intero percorso della vita di Van Gogh, includendo anche quanto di solito non viene compreso o è stato poco o per nulla studiato. Attraverso un racconto eseguito quasi in prima persona dallo stesso artista, che si racconta, stanza dopo stanza, attraverso le sue lettere. Riprodotte nell’esposizioni e raccolte per l’occasione in un volume di 850 pagine a cura dello stesso Goldin.
Il percorso espositivo riproduce quindi l’intero cammino dell’attività di Van Gogh, concentrandosi sui suoi principali punti di snodo: “I luoghi che lo hanno visto diventare il pittore che tutti conosciamo, grazie proprio a quei luoghi medesimi, al fascino che hanno esercitato su di lui, alla loro storia che si è incisa nella sua storia”, spiega il curatore. Analizzando il rapporto tra l’esterno della natura, e talvolta delle città, e l’interno dell’uomo e del pittore. Per comprendere il motivo per cui sia stata così rapida l’evoluzione dell’artista e perché sia stata necessitata e indotta dall’aver vissuto in determinati posti, prima in Belgio e Olanda e poi in Francia”.
Grazie soprattutto, ma non solo, alla collaborazione fondamentale del Kröller-Müller Museum e del Van Gogh Museum, la mostra è in grado di proporre capolavori di ognuno tra i periodi della vita di Van Gogh, da quello olandese fino al tempo francese vissuto tra Parigi, la Provenza e Auvers-sur-Oise. Dipinti famosissimi come Autoritratto con il cappello di feltro, Il seminatore, i vari campi di grano, Il postino Roulin, Il signor Ginoux, L’Arlesiana, i vari paesaggi attorno al manicomio di Saint-Rémy e tantissimi altri. A queste opere vengono inoltre affiancate altre quindici tele e capolavori di altri artisti legati, in vari modi, a Van Goghi: a partire ovviamente da Millet, passando tra gli altri per Gauguin, Seurat, Signac, Hiroshige, a lui precisamente collegati. Con l’aggiunta di tre grandi tele di Francis Bacon a inizio percorso, che esplorano la figura dello stesso Van Gogh, evidenziando l’influenza che il suo lavoro ha avuto anche sui grandi del XX secolo.
Insomma, l’esposizione padovana rappresenta una di quelle mostre che raramente si possono visitare, soprattutto in Italia, che oltre a funzionare per tutti, grazie al forte richiamo di un maestro immortale che da sempre attrae ogni generazione, riesce a farsi apprezzare anche da un pubblico più specializzato, proponendo qualche spunto di riflessione e di studio ulteriore su un’artista complesso e assai profondo. Peccato però che l’enorme sforzo produttivo e organizzativo messo in campo per la sua realizzazione, sarà solo minimamente compensato dal riscontro di pubblico, per le evidenti e contingenti cause di forza maggiore. Basti pensare che per effetto delle normative legate alla diffusione del coronavirus, anche nel caso di una riapertura completa, potrà entrare in mostra appena un terzo del pubblico che avrebbe potuto accedervi in epoca pre-Covid. Garantendo sì la totale sicurezza dei visitatori che riusciranno a ottenere un ingresso, ma lasciandone fuori miglilaia che sarebbero accorsi volentieri a Padova per godere di questa raccolta e che non riusciranno a farlo. Senza contare, peraltro, i tre mesi in cui questa incredibile serie di capolavori che era riuscita ad arrivare nel nostro paese, è dovuta rimanere chiusa sotto chiave senza che nessuno ne potesse godere. Per un’altra grande vittima della pandemia.
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