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Il Rubens della National Gallery è falso: parola di Intelligenza Artificiale
Arte moderna
Un grande dipinto di Sansone e Dalila, capolavoro attribuito a Rubens e realizzato tra il 1609 e il 1610, fiore all’occhiello della collezione della National Gallery di Londra, potrebbe essere un falso. A dichiararlo, una Intelligenza Artificiale, al termine di una lunga serie di test che ha messo a confronto il dipinto in questione con altri 148 di Rubens di certa attribuzione. E alla fine, secondo l’IA, il risultato è inequivocabile: l’opera della National Gallery non è un Rubens. Almeno al 91%: questa la percentuale di “falsabilità” del dipinto, che fu acquistato dal museo inglese nel 1980 per 5,4 milioni di dollari, all’epoca la terza opera d’arte più costosa mai venduta. Comunque soldi ben spesi per un Rubens, contando che, il 10 luglio 2002, un altro dipinto di Rubens, La Strage degli Innocenti, risalente al 1611-1612, fu venduto a un’asta di Sotheby’s per circa 35 milioni di dollari. Solo che, in questo caso, l’attribuzione era certa.
Ma si sapeva, prima o poi sarebbe successo e adesso è finalmente arrivato il momento della verità: lo scontro tra gli storici dell’arte e le intelligenze artificiali è iniziato. «Sono rimasta scioccata», ha detto al Guardian Carina Popovici, scienziata e co-fondatrice di Art Recognition, società svizzera che ha condotto lo studio. «Abbiamo ripetuto i test per essere davvero sicuri di non sbagliare e il risultato è stato sempre lo stesso. Ogni patch, ogni singolo quadrato, è risultato falso, con una probabilità superiore al 90%». L’Intelligenza Artificiale è stata supportata da una “rete neurale convoluzionale”, che analizzava i modelli di pennellate e altri aspetti tipici dello stile di Rubens per confrontarli con il dipinto della National Gallery, la cui paternità, bisogna dirlo a favore degli storici dell’arte, è stata a lungo oggetto di controversie, anche quando fu acquistata, ormai 40 anni fa.
La Art Recognition si è specializzata invece nel settore degli expertise, con questa tecnologia ha già analizzato circa 400 opere d’arte e attualmente sta collaborando con l’Università di Tilburg, in Olanda. Un altro test, condotto su un’altra opera di Rubens della National Gallery, una Veduta di Het Steen la mattina presto, ha invece confermato la paternità al 98,76%.
La struttura tecnologica è simile a quella già usata per altre tipologie di interventi. Per esempio, per il restauro della Ronda di Notte di Rembrandt è stata impiegata una Rete Generativa Avversaria (in inglese GAN – Generative Adversarial Network), che ha elaborato una enorme mole di dati a partire da copie dell’artista olandese, poi messe a confronto con gli originali, per estrarne infine il “vero” stile di Rembrandt con il quale ripristinare le parti mancanti della grande opera conservata al Rijksmuseum di Amsterdam.
I critici hanno a lungo sostenuto che questo Sansone e Dalila fosse solo una copia di un originale di Rubens, dipinto tra il 1608 e il 1609, al ritorno quindi dal lungo viaggio in Italia del grande maestro, per il suo importante mecenate di Anversa, il borgomastro Nicolaas Rockox. L’opera però scomparve dopo la morte di quest’ultimo, nel 1640.
I detrattori dell’originalità non sono affatto convinti né dei colori, che non sarebbero quelli caratteristici della tavolozza di Rubens, né dalla composizione, giudicata semplicemente “imbarazzante”. L’opera in effetti differisce da due copie contemporanee e realizzate dall’originale di Rubens. Le dita del piede destro di Sansone, per esempio, appaiono tagliate nella versione della National Gallery, mentre compaiono in un’incisione di Jacob Matham e in un dipinto di Frans Francken il Giovane, che raffigura Sansone e Dalila esposto nella casa di Rockox.
Secondo i detrattori, il dipinto della National Gallery risalirebbe addirittura al XX Secolo. Quando l’opera riemerse a Parigi, nel 1929, fu attribuita dapprima a Gerrit van Honthorst, ottimo pittore olandese (ma non Rubens) conosciuto in Italia anche come Gherardo delle Notti. Quindi, fu Ludwig Burchard, un esperto di Rubens, a firmare un certificato di autenticità che attestava la paternità rubensiana. Ma già alla morte di Burchard, nel 1960, vennero fuori alcuni documenti poco chiari, secondo i quali lo studioso avrebbe autenticato diverse opere a proprio vantaggio economico.
Non è la prima volta che la National Gallery finisce al centro di controversie sulle attribuzioni. Il caso più famoso è quello del Salvator Mundi che, prima di far registrare il record assoluto di 450 milioni di dollari per una vendita, fu esposto nel 2011 in una mostra organizzata dal museo londinese e dedicata a Leonardo da Vinci.
«La National Gallery prende sempre in considerazione le nuove ricerche. Attendiamo la pubblicazione integrale in modo che ogni prova possa essere adeguatamente valutata. Fino a quel momento, non sarà possibile commentare ulteriormente», ha commentato un portavoce del museo.