Se Pablo Picasso fosse stato una bambina, suo padre lo avrebbe incoraggiato in uguale misura accorgendosi del suo genio? Gioia Mori, alla fine del suo saggio “Se Pablo fosse stato Pablita. Artiste Italiane del Rinascimento e del Barocco, tra storia e mito”, che inaugura il catalogo della mostra “Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ’500 e ’600” (Skira), cita Ursula Vils del Los Angeles Time, che si poneva appunto questa domanda commentando la mostra “Women Artists:1550-1950”, organizzata nel 1976 a Los Angeles al County Museum. Un “evento fondante dell’indagine moderna”, come sottolinea Mori, che ricorda come la prima mostra dedicata ad artiste donne sia stata quella nell’ambito delle celebrazioni per i 400 anni della scoperta dell’America, a Chicago nel 1893 nel Women’s Building, interamente ideato e organizzato da artiste e dedicato a personalità dal ’400 al ’900 (per l’Italia erano presenti anche incisioni di Elisabetta Sirani, Diana Scultori, Teresa Del Po e Caterina Ciotti). La studiosa e curatrice dell’esposizione (insieme a Anna Maria Bava e Alain Tapié) traccia nel suo testo i profili delle artiste presenti a Palazzo Reale. La loro vita, il percorso artistico, gli ambienti sociali e culturali che ne avevano permesso, o ostacolato, la formazione e l’educazione. Il corredo di note dà poi accesso a ulteriori approfondimenti, come in un gioco di scatole cinesi. Mori racconta anche di come solo verso la fine dell’800 – in un periodo in cui la frequentazione delle accademie in molti paesi europei era ancora proibita alle donne – siano apparsi i primi e numerosi testi dedicati alle donne artiste che cominciano a delineare una storia dell’arte al femminile. “Oggi, parlando della presenza o meno di artiste donne, non invocherei una questione di genere. Conta la forza dell’opera. Il ’900 ha dato spazio a tante artiste, già negli anni Venti e Trenta. Basti pensare a Tamara de Lempicka, di cui sono una specialista. Alle protagoniste della nostra mostra va invece riconosciuta una certa intraprendenza.
La loro condizione di artiste professioniste non rientrava all’epoca nella normalità”, sottolinea. Con un pensiero al talento soffocato dalle convenzioni delle tante “pablite” del passato (chissà quante), visitiamo dunque la rassegna ospitata al Palazzo Reale. Il percorso, con 34 artiste e oltre 130 opere databili dal Rinascimento al Barocco, si snoda in cinque sezioni: Le artiste del Vasari, Artiste in convento, Storie di famiglia, Le Accademiche e Artemisia Gentileschi. Quest’ultima una delle più note, ma i non addetti ai lavori scopriranno altre per la prima volta, alcune mai esposte in precedenza. Tutte meritano di essere riscoperte e valorizzate. “Ci sono figlie d’arte, che avevano appreso a dipingere nella bottega paterna, nobildonne raffinate, cui si richiedeva un’educazione tra musica, letteratura, poesia e pittura o le donne in convento come Plautilla Nelli (1524- 1588) e Orsola Maddalena Caccia (1596- 1676), animatrici di vere e proprie officine pittoriche dove si realizzavano opere devozionali destinate anche alla vendita esterna”, spiega Gioia Mori. Giorgio Vasari, pittore, architetto e scrittore, famoso per le sue “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori” (1550), sempre fonte di notizie, dedica spazio a più artiste nella sua opera. Nella prima edizione compare la bolognese Properzia de’ Rossi (1490-1530), che aveva lavorato nel cantiere tutto maschile della Basilica di San Petronio. Nella seconda, del 1568, tra le altre compaiono le sorelle Anguissola, in particolare Sofonisba (1532/35-1625), apprezzata da Michelangelo al quale il padre dell’artista aveva inviato dei disegni. Un episodio che spinse Vasari a recarsi a Cremona nel 1566, in visita alla casa paterna della pittrice, che però si trovava da anni alla corte di Filippo II di Spagna (la movimentata vita di questa artista, sposatasi due volte, vissuta tra Spagna, Sicilia e Genova meriterebbe un articolo a parte). È proprio il quadro della Madonna dell’Itria una delle opere di Sofoniba su cui soffermarsi. Il restauro e recupero è stato messo in moto da Gioia Mori ed è la prima volta, dal 1587, che l’opera è uscita da Paternò (Catania).
Un’attenzione particolare va dedicata anche alla Maddalena di Artemisia Gentileschi (1593-1653), mai esposta prima d’ora e risalente al periodo napoletano dell’artista. L’opera appartiene alla collezione della famiglia Soursok di Beirut, il cui palazzo, durante l’esplosione nel porto lo scorso agosto, ha subito pesantissimi danni da cui non è esente neppure il dipinto. Alla fine della mostra verrà restaurato in Italia. Da non perdere infine, gli studi condotti sui ritratti di Carlo Emanuele I Duca di Savoia e di Emanuele Filiberto di Savoia, opere della miniaturista di Ascoli Giovanna Garzoni (1600-1670). Avvalendosi della tecnologia messa a disposizione dalla Fondazione Bracco, main sponsor dell’evento, la professoressa Isabella Castiglioni ha analizzato in modo non invasivo le opere. Mediante una serie di indagini di diagnostica per immagini (raggi X, ultravioletti, infrarossi, fluorescenza), è stato possibile individuare i pigmenti utilizzati per i colori (per esempio lapislazzuli, bianco di calcio, oro, vermiglione, lacca rossa) e persino i tratti del disegno, mai prima rilevati, entrando nel processo creativo dell’artista. Per visitare questo scrigno di tesori c’è tempo fino al 25 luglio.
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