FIno al 7 aprile 2024, sarà visitabile la mostra Napoli al tempo di Napoleone. Rebell e la luce del golfo, presso la sede napoletana delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, a via Toledo 177. Questa va a occupare il posto dell’ex Banco di Napoli che, nato nel 1539, era la banca più antica d’Italia e, anzi, considerando pure la sua forma iniziale, il Banco della Santissima Annunziata, nato nel 1463, che era la banca più antica del mondo.
La sede di via Toledo, disegnata dall’architetto Marcello Piacentini (1881-1960) e costruita per ospitare la banca, nello stile razionalista dell’epoca, appare ora, nonostante le vaste aperture delle finestre, piuttosto chiusa e severa e forse non proprio adatta ad accogliere nel migliore dei modi la complessa bellezza dell’arte e della storia. Tuttavia rimane il prestigio della sua architettura, ribadito, all’inaugurazione della mostra, dal prestigioso e folto parterre delle personalità intervenute, italiane e francesi, dell’esercito, della burocrazia e della diplomazia, che hanno occupato tre file di poltrone.
I discorsi di presentazione della mostra, contenuti nei tempi, sono stati di Gennaro Toscano, onusto di oneri, onori e docenze nelle Università europee e dell’E’cole du Louvre, la critica d’arte austriaca Sabine Grabner, che, insieme a Luisa Martorelli e Fernando Mazzoca, è stata curatrice della mostra, e Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa San Paolo.
Soprattutto notevole, quale esempio di attenta politica culturale, il discorso di Martin Briens, Ambasciatore di Francia a Roma, che ha esaltato la cooperazione tra Italia e Francia e ha affermato di considerare «Questa mostra una pietra miliare della relazione tra i due Paesi», facendo seguito alle dichiarazioni di cooperazione bilaterale Italia-Germania espresse, il giorno precedente alla presentazione, il 22 novembre, a Berlino, dal Premier Giorgia Meloni e dal Cancelliere Federale Olaf Scholz.
73 le opere in esposizione, provenienti da istituzioni culturali nazionali e internazionali, come il Belvedere di Vienna, l’Accademia di Belle Arti di Vienna, la Biblioteca Nazionale Austriaca, il Castello di Fontainebleau e Versailles, oltre che dalla collezione Intesa Sanpaolo.
I rapporti tra il Re Ferdinando e il popolo napoletano erano stati ottimi per buona parte del Settecento. Ma, sul finire del secolo, divennero burrascosi. La Révolution interessò Napoli soltanto dieci anni dopo il 1789, quando i liberali napoletani, con l’aiuto dei francesi di Jean-Etienne Championnet (1762-1801), fondarono la Repubblica Napoletana che, cacciata poi a furor di popolo, durò solo sei mesi. Tra battaglie ed esecuzioni, molto fu il sangue versato, mentre tornava sul trono Ferdinando di Borbone (1751-1825). Per pochi anni, però, perché poi, nel 1806, Napoleone Bonaparte (1768-1821), vincitore in Europa, impose a Napoli il Governo francese. E fu così che Giuseppe Buonaparte, fratello maggiore (di un anno) del Bonaparte più famoso, occupò quel trono di re di Napoli, che Ferdinando IV di Borbone, evitando altro spargimento di sangue, aveva abbandonato, riparando a Palermo insieme alla consorte Maria Carolina (1752-1814).
Giuseppe si rivelò capace di governo e di iniziative, che però non riuscì a realizzare. Perché poi, nel 1808, sempre per volere di Napoleone, dovette lasciare Napoli per andare a fare il re di Spagna. Qui trovò la forte opposizione degli Spagnoli, in odio ai francesi. Dopo diverse sconfitte, perduto il sostegno del fratello, si trasferì negli Stati Uniti e, nei pressi di Filadelfia, si costruì una tenuta, dove viveva insieme alla sua amante (mentre la moglie era rimasta con i figli in Europa), fin quando la Massoneria, alla quale era stato iniziato già nel 1793 nella loggia di rito scozzese antico Perfaite Sinceritè, diventando gran maestro del Grande Oriente di Francia e poi del Grande Oriente di Napoli, nel 1841 gli diede l’autorizzazione di risiedere a Firenze. E qui concluse la sua vita.
Nel 1808, a Napoli, prese il suo posto Gioacchino Murat (1767-1815). Era nato a Labastide Fortunière, un paesino che prese il nome di Labastide Murat e adesso fa parte di Coeur-de-Causse, un comune più grande. Gioacchino veniva quindi da un ambiente e da una famiglia modesta, i suoi genitori erano semplici locandieri, ma seppe farsi strada nel mondo per il suo talento di militare. Era un tipo pieno di ardori, esuberante, coraggioso, impetuoso, aveva fatto incidere sull’elsa della sua sciabola la frase “in difesa dell’onore e delle donne”. Si era distinto sui campi di battaglia, diventando generale della cavalleria napoleonica.
Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone, s’invaghi di lui e, nel 1800, lo sposò diventando poi Regina di Napoli. Napoleone voleva razionalizzare questa città. E Gioacchino la francesizzò. Nelle famiglie “bene” napoletane, le giovani, oltre il ballo e il pianoforte, imparavano la lingua francese. Mentre nelle cucine imperavano i “monsù” con i loro “menù” che sostituivano il burro all’olio.
Ma l’azione diretta di Murat fu importante e profonda. Ammetteva nei gradi alti della burocrazia soltanto i francesi, mentre nelle cerimonie ufficiali e nei salotti si usava la loro lingua. Importantissimi gli interventi urbanistici. Che tuttora sono visibili. Si privilegiarono la linea retta e i percorsi più veloci. Furono create delle strade che dal Museo Archeologico raggiunsero direttamente la Reggia di Capodimonte, ed evitando le strette e complicate viuzze dei Vergini velocizzarono il percorso (quel percorso che oggi, da tempo, si chiede di velocizzare, raggiungendo la il Museo e Bosco di Capodimonte con una breve deviazione della metropolitana). Anche i nomi dell’urbanistica furono cambiati e la parola “largo” fu sostituita con “piazza” o, alla romana, con “foro”. Così il “Largo di Palazzo”, davanti Palazzo Reale, adesso si chiama Piazza del Plebiscito. Qui gli interventi urbanistici cambiarono profondamente l’aspetto del luogo, dandogli regolarità e dignità, con un colonnato che lo conclude e la costruzione di due palazzi gemelli che si fronteggiano.
Possono testimoniare il cambiamento una veduta del Palazzo Reale di Napoli (Toledo-Hospital de Afuera) del palermitano Angelo Maria Costa (1670-1730), che mostra la piazza non ancora lastricata, così come la veduta di sguincio del Largo di Palazzo di Gaspar Wan Wittel, (1653-1736) (proprio lui, il padre di Luigi, il famoso architetto della Reggia di Caserta), un tempo di proprietà della Banca Commerciale, assorbita poi, nel 2001, nella Banca Intesa.
I coniugi Murat amavano le arti. Nel periodo murattiano grande impulso fu dato alla pittura di figura, per la quale furono chiamati a Corte Francois Gérard (1770-1837), Antoine-Jean Gros (1771/1835), Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), i migliori ritrattisti di quegli anni. E, nei ritratti in mostra, appaiono in ottima forma Gioacchino, in alta uniforme, e Carolina con i suoi quattro figli belli e splendenti di salute.
Napoli si prestava alla pittura di paesaggio con la sua natura fiorente, il mare e il Vesuvio con le sue pirotecniche eruzioni. Ma la sua più profonda immagine vedutistica fu formata soprattutto dai vedutisti napoletani del Settecento. Ed è interessante notare come molti turisti stranieri, francesi, inglesi, tedeschi, artisti e persone di cultura, provenienti da tutta Europa, venuti a Napoli, attirati dagli scavi di Ercolano e Pompei, siano stati influenzati dall’immagine che di Napoli era stata formata dai vedutisti della Scuola napoletana.
Ritornano, ad esempio, nei quadri di Joseph Rebell (Vienna, 1787-Dresda, 1828) – il pittore a cui è dedicata la mostra ora alle Gallerie d’Italia, che fu il vedutista più di altri amato da Carolina – le visioni notturne con la luna sul mare in un cerchio di nuvole, proprie del vedutismo napoletano, e le vedute del mare ripreso dalla riva, con il taglio tipico che già fu di Gaspar van Wittel. Più tardi, Rebell si differenziò dai vedutisti napoletani del Settecento perché il suo luminismo diventava sempre più drammatico, anche in relazione alle drammatiche vicende che sconvolsero l’Europa.
Le vedute di Napoli nell’Ottocento creano un romanticismo dai forti sentimenti, spesso di una profonda nostalgia. Ma quelle del Settecento, conosciute volgarmente soprattutto come copie e come copie delle copie, che ne alterano il significato, hanno, nella loro forma originale, un fascino misterioso e conservano un segreto che allora, nel riservato ambiente artistico, si sussurrava.
Una lettera del 1776 del Primo Ministro Bernardo Tanucci al re Carlo di Borbone dice che «Si è concessa la privativa di stampare due tomi di vedute di Napoli colorite con un certo segreto da un artefice Fabris» (Pietro Fabris, attivo dal 1740 al 1792, rappresentava Napoli come uno spazio ampio, in se stesso concluso e senza confini). Che in quelle vedute napoletane ci fosse un segreto ce lo dice, nel suo Viaggio in Italia, anche Johann -Wolfang Goethe (1748-1832) che afferma di averlo conosciuto. Del come ce ne parla lui stesso, dicendo che il pittore Wilhem Tischbein (1751-1829) gli aveva presentato a Napoli Gaetano Filangieri (1753-1788), al quale il vedutista Jacob Philipp Hackert (1737-1807) lo aveva insegnato. Per comprendere queste osservazioni, occorre considerare che, nel Settecento, il viaggio in Italia costituiva una sorta di pellegrinaggio alla ricerca della conoscenza. E Tischbein ritrae Goethe come un pellegrino, con il cappello e il mantello di un viandante.
La più espressiva veduta napoletana è considerata quella di Gabriele Ricciardelli (circa 1690-1777 circa), del quale il francese Joseph Vernet (1714 -1789) fu un imitatore, che tradusse quella Napoli che già esisteva nella tradizione vedutistica napoletana, senza approfondirne il significato. Un significato che la sensibilità moderna ha difficoltà a comprendere.
Nella mostra dedicata a Joseph Rebell, in questi giorni alle Gallerie d’Italia, è interessante mettere le sue opere in confronto con gli artisti di paesaggio del suo tempo. Michael Wutkj (1739-1822) amava dipingere le eruzioni del Vesuvio che pericolosamente riprendeva in schizzi veloci, seguendo il suo amico sir William Hamilton. Come già Pierre-Jacques Volaire che, venuto a Napoli, si fermò a lungo, assimilandone lo spirito ed esprimendo un nuovo senso di libertà con esplosioni di colore e personaggi ritratti in controluce.
Simon Denis, fiammingo (1786-1813), nato ad Anversa anche lui soggiornò a lungo a Napoli e a Roma, dove fu ammesso alla prestigiosa Accademia di San Luca. Alexander Dunouy (1757- 1841) viaggiò a lungo in Italia, fermandosi a Napoli per dipingere le sue vedute con la protezione di Gioacchino Murat.
Auguste de Forbin (1777-1841) di antica e nobile famiglia provenzale, divenne anche direttore del Louvre e fu nella Corte di Paolina Borghese, la sorella di Napoleone. Questa, rimasta vedova, sposò il nobile Borghese ed ebbe numerosi amanti. Ma il suo rapporto amoroso con Auguste fu diverso dagli altri, testimoniato dal fatto che, due decenni dopo averlo incontrato, sentendosi vicina alla morte, lo ricordò con affetto riconoscente. Ma nel frattempo Napoleone lo aveva allontanato mandandolo in Portogallo. Johan Christian Dahl (1788-1857), norvegese, espresse il romanticismo dei Paesi nordici con il dolce brivido di un livido luminismo.
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