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Nello spirito della natura: Vincent Van Gogh a Palazzo Bonaparte di Roma
Arte moderna
Palazzo Bonaparte a Piazza Venezia, Roma, ospita una grande mostra monografica dedicata al genio di Vincent Van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890) che vede la prestigiosa curatela di Maria Teresa Benedetti e della storica dell’arte Francesca Villanti, con testi editi da Skira. Con il Patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Roma e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta da Arthemisia. Ben 50 capolavori dell’artista olandese sono stati selezionati dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, che custodisce, insieme al Van Gogh Museum di Amsterdam, uno dei più grandi patrimoni biografici e bibliografici dell’autore, grazie alla fondatrice Helen Kröller-Müller.
In questa mostra viene approfondita un’indole volta alla sublimazione della natura, cui appartiene la condizione umana, attraverso un percorso cronologico che parte dal primo periodo olandese (1881-1885), in cui domina un realismo spirituale tracciato con toni scuri. Segue il soggiorno parigino (1886-1888), dove Van Gogh incontra Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Atuona, 1903) e in cui emerge un linguaggio più immediato, fondato sull’accostamento di colori puri per un disegno sintetico. In tale periodo raggiunge, inoltre, una completa autonomia tematica, anche grazie al dialogo serrato che l’artista compie con le novità culturali che vanno maturandosi nella capitale francese. Si passa, in seguito, al suo vissuto ad Arles (1888-1889), dove descrive la campagna «Servendosi del colore in maniera arbitraria», vibrante, come legata a una sua interiorizzazione. Infine, la reclusione a St. Remy, testimoniata dall’emblematica opera del 1889, Il giardino del manicomio a Saint-Rémy, fino all’epilogo a Auvers-Sur-Oise.
Attraverso tali fasi diviene chiaro il tentativo di Van Gogh di uno slancio “panteistico”, possibile attraverso accesi cromatismi e nervosi tratti. I colpi di pennello si fanno sempre più rapidi e irrequieti, come incisive tracce d’esistenza che “navigano” sulla tela e che evolveranno in una numerosa serie di autoritratti, compreso l’esempio iconico del 1887, oggi in esposizione a Palazzo Bonaparte.
L’interesse per la figura umana, presente in mostra anche attraverso preziosi formati cartacei, l’immersione nel calore, tipico del sud francese, in quelli che Gauguin definiva «Infiniti soli in piena luce di sole», genera aperture verso un’intensità con cui va a definire i particolarismi e i mutamenti della natura circostante. Ecco, quindi, l’importanza di un’opera come Il Seminatore realizzata ad Arles nel 1888, in cui è evidente la ripresa di Millet (Gréville-Hague, 1814 – Barbizon, 1875), con la quale Van Gogh raggiunge un sublime “contenuto umano” e un metafisico colore.
Si intreccia la rappresentazione romantica dei paesaggi con le architetture sacre, spesso sotto forma di elementi isolati, in armonia con la vegetazione e con il misticismo che l’abita. Una spiritualità che già aleggiava nel suo trascorso di missionario e miniatore, e che ritrova nella severa quotidianità dettata dalla terra, popolata da contadini, raccoglitori di patate, tessitori e boscaioli. Ed è qui che Van Gogh ricerca quel sacro mistero celato nell’ordinario, restituendo il soprannaturale al naturale, il simbolo al fatto. «Il suo non è mai un realismo alla Emile Zolà, volto a stigmatizzare il vigore del reale, ma un modo per renderlo capace di abbracciare tutte le cose, anche le più umili, con un sentimento di universalità. L’universale che entra nel realismo particolare, la grandezza di un destino anche misero ma vissuto in maniera religiosa – in senso non dogmatico ma assoluto – è un valore al quale Van Gogh non si ribellerà mai», ha affermato, in una nostra conversazione, Maria Teresa Benedetti.