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Non solo Pellizza da Volpedo: al Castello di Novara un racconto del paesaggio italiano
Arte moderna
di Ugo Perugini
Grazie ai lavori di restauro degli ultimi venti anni, il Castello di Novara è diventato un sito museale e culturale di grande prestigio, nel pieno centro della città. E pensare che è stato un carcere fino al 1973 e ha rischiato più volte di venire demolito. In questa sede (che merita una visita a parte), è in corso la mostra PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo, aperta al pubblico fino al 6 aprile 2025. Si tratta di una mostra complessa e di grande respiro, che rappresenta un contributo importante alla comprensione dell’evoluzione dell’idea del paesaggio e del suo ruolo in pittura. L’analisi di questo genere pittorico si concentra in un periodo che va dal 1821 al 1915, denso di spinte innovative e sperimentali, gravitanti prevalentemente nel territorio tra Piemonte, Lombardia, Liguria, Svizzera.
Le parole-chiave di questa ricerca, vale a dire “realtà, impressione, simbolo”, sono riferimenti preziosi che aiutano a collocare idealmente le nove sezioni in cui è suddivisa la mostra, realizzata da METS Percorsi d’arte e curata dalla storica dell’arte Elisabetta Chiodini. Mostra che prevede l’esposizione di ben 73 opere di 36 artisti diversi e provenienti da prestatori pubblici e privati. Superato il vedutismo settecentesco e la visione neoclassica e romantica del paesaggio, con Marco Gozzi si approda al paesaggio moderno che non si limita a cogliere la bellezza della natura ma si sofferma sulla trasformazione antropica dei paesi. Pensiamo a questo proposito al Ponte illuminato da chiaro di luna ed officina di maniscalco di Giovanni Migliara.
Partendo da qui, il paesaggio può anche servire da sfondo per collocare gesta storiche importanti. È il periodo dei paesaggi istoriati, tra tutti l’opera di Massimo D’Azeglio La morte del Conte Josselin de Montmorency. E i riferimenti alla storia e alla letteratura non mancano. Giuseppe Canella nella sua esposizione a Brera viene descritto, ad esempio, come un pittore che “dipinge come il Manzoni scrive”.
Ma a parte certi contenuti stilistici, non mancarono le ricerche e le innovazioni nella stessa tecnica pittorica, pensiamo ai pennelli telescopici allungabili fino a due metri ideati da Filippo Carcano per realizzare le sue grandi opere (si veda “Pianura Lombarda”, 135×242 cm) o il coltello con i denti per lasciare segni paralleli nella stesura di colore, che torneranno utili ai divisionisti. Dietro a queste soluzioni tecniche c’è peraltro un nuovo approccio nel rapporto tra colore, ombra, luce, che spinge gli artisti sempre di più a dipingere dal vero “en plen air”, pensiamo ad Angelo Beccaria, Gaetano Fasanotti, Antonio Fontanesi, ancora in parte sotto l’influsso romantico dell’opera di Alexandre Calame. Da collocare in questo ambito anche i paesaggi con gli animali. Ci viene in mente a tal proposito una lettera di Angelo Morbelli – al quale in mostra è dedicata una saletta che confronta due opere identiche per soggetto (Nebbia domenicale e Alba domenicale) riprodotte dall’artista a distanza di 25 anni (1890/1915) – il quale scrivendo a un amico pittore ammette grosse difficoltà a riprodurre le vacche dal di dietro “che non stanno mai ferme, cioè stanno ferme ma l’azione è moventesi”.
Tutto questo lavoro si rifà anche alle idee provenienti dalla Scuola di Rivara e dei raduni estivi a Carcare (la cosiddetta Scuola dei Grigi), sempre orientate alla ricerca di un linguaggio in grado di cogliere l’immediatezza del reale attraverso l’uso della macchia, del colore per percepire al meglio il variare della luce. Emblematici in questo senso i lavori sperimentali di Eugenio Gignous per arrivare a rappresentare al meglio “l’impressione dal vero”.
La mostra prosegue con opere dedicate alla città di Milano (Giovanni Segantini, Mosé Bianchi, Emilio Gola) e alle Prealpi con lavori di Leonardo Bazzaro, Lorenzo Delleani, e qui si assiste al passaggio stilistico che ci conduce verso il divisionismo con Giovanni Segantini, il già citato Morbelli e Pellizza da Volpedo e che permette qualche interessante incursione nel clima simbolista. E proprio con un’opera “ritrovata” di Pellizza, intitolata La Clementina che il percorso della mostra si conclude. La Clementina è una zona non lontana da Volpedo. L’artista qui vi riprende un grande albero sotto il quale si intravede la campagna, una casa e una donna intenta al lavoro. La tecnica del divisionismo passa in second’ordine rispetto al valore simbolico ed emotivo che l’opera propone, più attenta a sollecitare in chi la osserva sentimenti e valori spirituali.
La Mostra va vista anche come un tassello imperdibile di quel percorso celebrativo della figura di Pellizza che si concluderà a Milano nell’autunno del 2025 presso la GAM, dove si trova la sua opera più conosciuta “Il Quarto Stato”, e che sarà preceduta anche dalla presentazione di un docufilm sulla vita dello stesso pittore.