Questa mostra lo conferma apertamente: Orazio Borgianni (Roma, 1576-1616) è un grande artista, un vero protagonista del suo tempo, e quindi meno male che alla fine – dopo oltre un secolo dalla riscoperta longhiana – un’esposizione importante l’ha avuta, anche se in questi tempi sfortunati. Nella speranza che possa tornare presto ad aprire i battenti al pubblico (la sua chiusura è attualmente fissata al prossimo 30 giugno), ne abbiamo intervistato il curatore, Gianni Papi, cha subito mi chiarisce l’importanza di questo pittore, geniale quanto inquieto.
«Borgianni è un pittore che innanzitutto propone un nuovo linguaggio; è tutt’altro che un seguace di Caravaggio (come forse fin troppe volte è stato dichiarato), anche se l’esperienza caravaggesca è uno degli elementi che compongono il suo stile. Uno stile che affonda le radici nel Cinquecento (la pittura emiliana di Correggio e Parmigianino, di Lelio Orsi e del giovane Ludovico; quella veneta di Bassano e di Tintoretto), che in Spagna si nutre anche dell’esperienza toledana presso El Greco. Quindi il nostro pittore giunge a Roma, nel 1605, e recepisce, da par suo, la rivoluzione caravaggesca. Ma da questi elementi esce un linguaggio nuovo e particolare, una pittura che ha le raffinatezze cinquecentesche aggiornate dal naturalismo del Merisi, qualcosa di unico e fecondo, che avrà molta importanza su un preciso filone di pittura naturalistica a Roma».
In quali rapporti era con Caravaggio?
«A giudicare da ciò che riporta Baglione, dovettero essere burrascosi. Queste le parole testuali del biografo: “Hebbe Horatio Borgianni contrasto con diversi. Michelangelo da Caravaggio, che mal di lui grandemente diceva, se non era diviso nel maneggiare dell’armi, ne riportava qualche sinistro incontro”. Tuttavia dalla denuncia di Baglione del novembre 1606, sembrerebbe emergere qualcosa di diverso: Borgianni viene denunciato da Baglione come “adherente al Caravaggio” e per questo ideatore (insieme a Carlo Saraceni) di un attentato – da parte di un loro sicario – a Trinità dei Monti; attentato di cui Baglione nell’ottobre di quell’anno era stato vittima, riportandone ferite di spada. Come si vede, due racconti contraddittori del rapporto personale che Borgianni avrebbe avuto col Merisi».
Come è nata l’idea di questa mostra?
«Da tempo avevo il progetto di una mostra su Orazio Borgianni, pittore che studio almeno dal 1993, cioè da quando gli ho dedicato la prima monografia e il primo catalogo ragionato delle opere. Due anni fa, nella primavera del 2018, ho proposto a Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, di organizzare una mostra su questo artista a Palazzo Barberini, e lei da subito si è mostrata molto favorevole al progetto, che mi ha confermato qualche mese dopo, e siamo partiti».
La scelta di Palazzo Barberini come sede di questa prima monografica è tutt’altro che casuale…
«Beh, Palazzo Barberini è la sede ideale perché ha la compagine, forse più importante in Italia (e probabilmente anche al mondo), di dipinti caravaggeschi e del primo Seicento romano, nonché due opere molto significative di Borgianni: la “Sacra Famiglia con sant’Elisabetta, san Giovannino e un angelo” e l’“Autoritratto”».
Come si articola il percorso espositivo?
«La mostra occupa sei delle bellissime sale del piano nobile di Palazzo Barberini. Le prime tre sale (fra cui il grande salone di ingresso della Galleria) sono dedicate alle opere di Orazio Borgianni. Mi fa piacere sottolineare che siamo riusciti a ottenere tutti i lavori più importanti da lui eseguiti durante gli anni romani: le quattro le pale d’altare (Savona, Sezze, e le due romane di San Carlino alle Quattro Fontane e della Casa Generalizia dei Mercedari), e poi capolavori come il “Cristo fra i dottori” del Rijksmuseum di Amsterdam, la “Morte di san Giovanni evangelista” della Pinacoteca di Dresda, il “San Cristoforo” della National Gallery of Scotland, i “Martiri cristiani” dell’Ambrosiana, le tre opere della Fondazione Roberto Longhi di Firenze, il “Martirio di sant’Erasmo” di collezione privata, l’“Eraclito e Democrito” di Palazzo Martelli a Firenze, l’“Autoritratto” e il “Ritratto di Tommaso Laureti” dell’Accademia di San Luca. Le altre tre sale sono invece occupate dalle opere degli artisti che hanno risentito dell’esperienza borgiannesca».
La mostra documenta infatti puntualmente anche l’influsso di Borgianni su grandi pittori. Ci puoi descrivere questa seconda sezione?
«La seconda sezione della mostra, che occupa le ultime tre sale, presenta un corpus di opere significative (e adeguate per dimostrare l’influenza di Borgianni) di grandi artisti come Lanfranco, Serodine, Vouet, Vignon, Cagnacci, Antiveduto Gramatica, Carlo Bononi, Giovan Francesco Guerrieri, Marcantonio Bassetti, ma anche di Luis Tristan e Tanzio da Varallo. Una sequenza, a mio avviso bellissima, che attesta con confronti facilmente effettuabili a pochi metri di distanza, da quadro a quadro, la benefica influenza di Borgianni sul loro percorso. Pure in questo caso si può dire che tutte le opere più adatte per testimoniare questo assunto, quelle che insomma io volevo, sono state tutte concesse».
Quanti dipinti ipotizzi che abbia realizzato Borgianni nella sua vita? Quanti ne mancano, a tuo avviso, ancora all’appello?
«Non è facile rispondere a questa domanda: il catalogo di Borgianni, se si considerano anche le opere eseguite in Spagna fra il 1598 e il 1605, nonché le varie versioni di alcuni soggetti da lui particolarmente amati (come il “San Cristoforo”, la “Sacra Famiglia con sant’Anna” e il “Compianto sul Cristo morto”), comprende forse oggi intorno a sessanta dipinti. Nei documenti d’archivio e negli inventari sono citate opere che tuttora mancano all’appello, ma non sono più di venti. La pittura di Borgianni è una pittura sofisticata, intellettuale, raffinata e, nello stesso tempo, calda e molto espressiva. Non penso sia stato un pittore velocissimo, come invece erano Caravaggio o Ribera, di cui si sa che potevano eseguire un quadro di medie misure, con una sola figura, in due o tre giorni».
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