Tra le pagine della storia dell’arte in Italia non è quasi menzionato, ma esiste un impressionista d’Ottocento che ha fatto la storia culturale della Germania, tanto che le sue opere sono presenti in quasi tutti i musei tedeschi. È Max Liebermann (1847-1935), di cui il Museo Casa di Goethe a Roma ospita una retrospettiva a cura di Alice Cazzola, con 32 opere, affiancate da fotografie che documentano il suo lavoro en plain air.
Liebermann era un aristocratico che visse per gran parte della sua vita nel gran palazzo berlinese di famiglia di affaccio sulla Pariser Platz, accanto alla Porta di Brandeburgo. Egli, tuttavia, era un moderato antitradizionalista. Fu presidente dell’Accademia Prussiana delle Arti e della Secessione di Berlino e spinto da una vocazione per la ricerca, viaggiò moltissimo.
La mostra – realizzata in occasione dei 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo – ha un andamento cronologico-documentario. Si va dai primi dipinti berlinesi e le visioni del suo soggiorno nei Paesi Bassi, alla ritrattistica a olio e a stampa di familiari, personaggi della cultura europea, così come di soggetti più umili, che gli valsero il nome di “pittore dei poveri”.
Alla seconda Biennale di Venezia (1897) fu presentato il suo tributo alle Lavoratrici di merletto che da allora rimase alla Fondazione Musei Civici di Venezia. In quegli anni le opere del berlinese cominciarono a girare in numerose collettive italiane e fu così che Liebermann entrò nel coté della scena artistica del Bel Paese. Tanto che la direzione degli Uffizi gli commissionò un autoritratto per la propria collezione, ora in mostra. Il suo pennello, a cavallo tra un secolo e l’altro, era però ancora gravido del peso del Realismo e del Naturalismo, con un occhio rivolto al maestro del Seicento Frans Hals, noto per la sua tecnica di pittura priva di basi preparatorie.
Fu da quando Liebermann decise di trascorrere i mesi estivi in Francia, a Fontainebleau e a Barbizon, sulle orme dell’impressionismo francese, che egli cambiò il suo modus operandi. Le tele cominciarono ad ammantarsi di pennellate più spesse, con un focus su scene di genere. Assieme alle merlettaie figurano spiumatrici, contadini, ritratti di ragazzi che fanno il bagno. Si trattava di un tipo di impressionismo affine eppure diverso da quello dei maestri della macchia. Una pittura meno precisa e tuttavia fortemente atmosferica.
Cuore della mostra è la sala che raccoglie i dipinti floreali ispirati agli orti e ai giardini della Villa che Liebermann fece costruire tra il 1909 e il ’10 sulle rive del Wannsee. Orgogliosamente edificata con il solo denaro che l’artista si guadagnò attraverso la propria arte. Qui, in un lussureggiante trionfo di tinte verdi, figurano i sentieri di betulle, le siepi ad arco, la panchina sotto il castagno, i cespugli vicini alla casa del giardiniere, i fiori. In una sinfonia di tele che avvicinano molto più Liebermann all’impressionismo “tradizionale”.
Una curiosità è data da una fotografia in b/n dell’artista che siede nella loggia colonnata della sua dimora. Alle sue spalle è visibile un affresco da lui realizzato dopo aver visitato la Villa romana di Livia a Prima Porta. Il noto dipinto parietale fiorito, oggi conservato nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, fu da lui preso a modello per un inedito fregio a muro. Purtroppo l’edificio sul Wannsee fu espropriato dallo Stato tedesco alla vedova dell’artista e destinato ad altre attività. Solo tra il 2002 e il 2003, dietro uno strato d’intonaco, l’affresco di Liebermann fu riscoperto e da allora la Villa è diventata una Fondazione a lui dedicata.
La mostra non tace ovviamente lo stretto legame che risiedeva tra Liebermann e Goethe. L’artista, d’altronde, a Weimar abitava nella casa di fronte alla sua. Lo leggeva sin da giovanissimo e nelle sue lettere Goethe è citato di frequente. Tuttavia – e questo è un enigma che varrebbe la pena scoprire – benché Liebermann fu a Roma per ben tre volte e conosceva alla lettera anche gli itinerari del Viaggio in Italia goethiano, non si ha alcuna documentazione di una sua visita alla Casa romana di Goethe.
Sappiamo che nel suo secondo soggiorno a Roma, tra il 1911 e il ’12, egli alloggiò all’Hotel de Russie, proprio a due passi dal Museo. In quegli anni, l’artista era a Roma per l’Esposizione Internazionale d’Arte organizzata per i cinquant’anni dall’Unità d’Italia. Nel 1913, terzo ed ultimo soggiorno nell’Urbe, Liebermann poté ammirare la terrazza del Pincio, sempre vicina al Museo, da cui realizzò cinque vedute, di cui una misteriosamente scomparsa. Ma nessun documento, nessun registro o lettera, biglietto o cartiglio che testimoni la sua visita alla dimora in cui Goethe visse tra il 1786 e l’88. Un giallo da risolvere!
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