La mostra alla Galleria Corsini è sicuramente tra le mostre da inserire nell’agenda romana delle visite della fase “new normal”. I protagonisti sono uno dei più grandi artisti moderni, Rembrandt (1606-1669), un suo straordinario dipinto-autoritratto che fa ritorno dopo secoli nel palazzo in cui era esposto nel Settecento, e una vendita rocambolesca recentemente scoperta e indagata attraverso documentari inediti d’archivio.
In attesa che l’esposizione riapra al pubblico nelle prossime settimane, ne parliamo con il suo curatore Alessandro Cosma.
Partiamo dal dipinto intorno al quale ruota la mostra, che potremmo definire un “one painting show”. Ce lo può descrivere a partire dalle sue peculiarità tecnico-compositive e inquadrare nell’ambito della produzione dell’artista?
«L’Autoritratto come san Paolo del Rijksmuseum di Amsterdam raffigura il pittore nelle vesti dell’apostolo Paolo, identificato dalla spada – strumento del suo martirio – e dal volume delle epistole. Firmato e datato 1661, testimonia in maniera esemplare l’eccezionale qualità “materica” che caratterizza la tarda produzione di Rembrandt. Nel quadro, infatti, lunghe e dense pennellate cariche di colore evocano la morbidezza dell’avvolgersi del turbante, mentre il volto del pittore è reso con tocchi più brevi di toni color carne che lo fanno emergere prepotentemente dal fondo scuro. Un effetto accentuato dalla più veloce e quasi sommaria realizzazione dell’abito e del mantello, resi con un “non finito” di straordinaria modernità».
Rembrandt ci ha lasciato un notevole corpus di autoritratti. Ma la scelta di rappresentarsi, nel caso dell’autoritratto Corsini, nelle vesti di san Paolo non lo rende forse un unicum?
«Assolutamente sì. Nonostante Rembrandt abbia realizzato oltre ottanta autoritratti tra dipinti, disegni e incisioni, questo costituisce l’unico esempio in veste di figura biblica. Una scelta evidentemente non casuale, visto che Paolo costituisce uno dei principali punti di riferimento del pensiero teologico riformato, cui il pittore era molto vicino. In un momento difficile della sua vita – nel 1656 deve dichiarare bancarotta e, allo stesso tempo, la sua relazione con Hendrickje Stoffels viene aspramente criticata dalla chiesa riformata olandese – Rembrandt decise, quindi, di prestare il suo viso all’Apostolo, mostrando così “visivamente” di seguirne gli insegnamenti: “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” (1 Cor, 1, 11)».
Quali sono i passaggi del dipinto che è stato possibile ricostruire, e quali invece risultano ancora sconosciuti? Per esempio, so che ancora non si conosce il committente dell’opera in questione…
«In effetti, ancora non conosciamo l’originaria destinazione del dipinto. La prima citazione è del 1696, quando compare nell’inventario postumo di Everhard Jabach (1618-1695), uno dei più grandi banchieri e collezionisti di Parigi. Dopo la sua morte, il quadro arriva al pittore francese Nicolas Vleughels (1668-1737), divenuto nel 1725 direttore dell’Accademia di Francia a Roma. Proprio dalla vedova del pittore, Marie-Thérèse Gosset (1703-1756), lo compra il cardinal Neri Maria Corsini che lo espone nella “Galleria dei quadri”, la stanza principale del suo nuovo appartamento a palazzo Corsini, dove fino alla fine del Settecento è ammirato e citato da numerosi viaggiatori».
Una recente riscoperta documentaria ha oggi chiarito che l’opera fu protagonista di un episodio emblematico della dispersione di opere d’arte durante l’occupazione francese del 1799. Ce lo può raccontare?
«Siamo nel 1799, durate la cosiddetta Repubblica romana, un momento di grande fermento politico e culturale, ma allo stesso tempo drammatico per il patrimonio artistico. L’abolizione del fedecommesso, istituto giuridico volto alla preservazione del patrimonio ereditario, unito alle gravose tasse imposte alle famiglie nobili portarono infatti alla vendita di un gran numero di opere d’arte, preda dei tanti mercanti stranieri allora attivi nell’Urbe. Anche la collezione Corsini fu coinvolta, ma in questo caso la situazione era aggravata dall’assenza del principe Tommaso, che si era rifugiato in Sicilia. Fu allora il maestro di casa della famiglia che, dopo essere stato più volte minacciato dai soldati francesi, decise di organizzare una vendita di ben 25 quadri della collezione all’insaputa dei Corsini. I documenti conservati nell’archivio della famiglia ci raccontano che quando il Principe lo venne a sapere avviò un lungo duello giudiziario con i due mercanti che avevano acquistato le opere (il romano Luigi Mirri e l’inglese William Ottley), riuscendo alla fine a ricomprare una parte dei quadri. Purtroppo, però, molti dipinti – come l’Autoritratto di Rembrant – erano già passati di mano o usciti dall’Italia, e sono oggi sparsi tra collezioni europee e americane».
Una selezione delle stampe originali di Rembrandt appartenute alla famiglia Corsini costituisce l’occasione per ricostruire, in mostra, l’apprezzamento che la famiglia aveva nei confronti dell’artista olandese, di cui possedevano oltre 200 stampe, oggi conservate all’Istituto centrale per la grafica. Ci può descrivere il Rembrandt incisore attraverso attraverso questa ulteriore sezione dell’esposizione?
«Nel Settecento l’Autoritratto come san Paolo non era l’unica opera di Rembrandt presente a Palazzo Corsini. L’artista, infatti, era molto apprezzato dalla famiglia e dal cardinal Neri Maria in particolare. Non è, pertanto, un caso che nella ricchissima collezione di stampe e disegni, conservata allora nella biblioteca del palazzo, fossero infatti presenti così tante incisioni del Maestro di Leida. Del resto, Rembrandt era famoso in Italia principalmente per le stampe, tanto da essere considerato uno dei più grandi incisori dell’epoca moderna, capace di portare a esiti eccezionali la tecnica dell’acquaforte – ossia l’utilizzo di acidi per incidere la lastra. Le opere in mostra, provenienti dal fondo Corsini, cercano di illustrare i principali ambiti indagati dall’Artista: dai celebri ritratti dei contemporanei alle grandi scene religiose, dagli autoritratti all’incisione “di paesaggio”. Una serie di opere da guardare con lentezza e, magari, con una lente di ingrandimento, per ammirare gli straordinari dettagli e l’assoluta perizia tecnica di uno dei più grandi maestri dell’incisione di tutti i tempi».
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