Antonio Canova, Musa Tersicore, 1811, gesso originale. Tremezzina, Villa Carlotta, Museo e Giardino botanico
Maestro del Neoclassicismo, figura apicale nel processo di rinnovamento della scultura, soprannominato “il nuovo Fidia” per l’abilità con la quale riusciva a tradurre il movimento e il pathos nella pietra, autore di alcune delle opere più ammirate della storia dell’arte, Antonio Canova morì nella sua amata Venezia il 13 ottobre 1822, dopo una vita ricchissima di successi, ammirato nelle corti e nei palazzi di tutta Europa. E oggi, a chiusura dell’anno in cui sono stati celebrati i 200 anni dalla morte, Villa Carlotta presenta “Canova, novello Fidia”, mostra a cura di Gianfranco Adornato, Professore Associato di Archeologia classica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, con Maria Angela Previtera ed Elena Lissoni, rispettivamente direttrice e conservatrice museale della splendida Villa, costruita, alla fine del ‘600, dai marchesi Clerici di Milano e, oggi, scrigno di un patrimonio storico, artistico e botanico sul Lago di Como.
La mostra a Villa Carlotta mette in dialogo la poetica artistica di Antonio Canova con quella di Fidia di Atene, suo “alter ego” dell’antichità, invitando il pubblico a intraprendere un percorso scandito dalle opere canoviane del museo e da alcuni prestiti di reperti archeologici provenienti dai maggiori musei italiani. Così, per la prima volta, sarà possibile confrontare il torso dell’Amazzone ferita, delle collezioni dei Musei Reali di Torino e unica versione al mondo in preziosa basanite, con il gesso originale della Musa Tersicore di Antonio Canova delle collezioni di Villa Carlotta. Il soggetto dell’Amazzone si potrà apprezzare anche nella forma di un’erma proveniente dalla celebre Villa dei Papiri di Ercolano, oggi conservata nel Museo Archeologico nazionale di Napoli, e in una versione miniaturizzata in bronzo proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Non poteva mancare un riferimento alla leggendaria e colossale statua di Zeus crisoelefantino, che Fidia realizzò nel 432 a.C. Composta da oro e avorio, alta circa 12 metri, la scultura era collocata nella navata centrale del Tempio di Zeus a Olimpia. Qui rimase per 800 anni, poi, secondo la tradizione, nel V Secolo d.C., fu portata nel palazzo di Lauso, alto funzionario bizantino, dove probabilmente andò distrutta a causa di un incendio. Considerata una delle sette meraviglie del mondo, ne sopravvivono alcune testimonianze e in mostra sarà esposta una delle due sole monete antiche sopravvissute fino a oggi, databile agli ultimi anni del regno di Adriano, che ritrae il padre degli dei in tale posizione. A suggellare l’incontro e il dialogo tra Fidia e Canova, si è scelto di porre a confronto la Testa di Apollo del Museo Archeologico di Napoli con il Palamede canoviano, opera simbolo di Villa Carlotta.
Completano il percorso alcuni calchi delle sculture del Partenone provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Brera, con la quale Canova aveva intrecciato uno stretto rapporto. Fu proprio grazie all’intervento dello scultore di Possagno che i marmi, trasportati da Lord Elgin da Atene a Londra, ebbero finalmente una paternità e un posto di primo ordine nella storia dell’arte antica, moderna e contemporanea. Canova durante una visita a Londra nel novembre del 1815, ne aveva ammirato da vicino «Le figure in grande, nelle quali l’artista poteva far mostra del suo vero sapere», affermando che «Le opere di Fidia sono vera carne cioè bella natura».
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Ottimo articolo su una mostra incredibile. Ha sempre ammirato l'antichità, la sua maestosità ed eleganza.