A Ferrara, avvolto nella nebbia della storia italiana del ‘900, c’era anche Roberto Melli, un pittore straordinario e di origini ebraiche con una vicenda artistica e biografica ancora troppo spesso dimenticata dalla critica moderna. Sebbene una recente pubblicazione, “Outsiders” di Alfredo Accattino, ne abbia messo in risalto il lato più “eversivo”, finalmente una mostra – dopo quella storica del 1936 e il prezioso intervento di Calvesi alla partecipazione di Melli alla Biennale di Venezia nel 1954 – mette in luce una parte peculiare della sua parabola artistica, tra gli anni ‘40 e i ‘50. Sono anni di segregazione, anni difficilissimi, sia quelli passati a Roma sia quelli di Ferrara, nei luoghi che Roberto Melli attraversa nell’arco della sua vita tra il 1885 e il 1958.
La prima città l’aveva già scelta nel 1910-11 e qui vivrà, in qualche modo “protetto” nel periodo delle feroci leggi razziali (per capire meglio la storia di Melli in quel periodo bisognerebbe spulciare tra i vari documenti che si trovano all’Archivio Vaticano), Ferrara invece è la sua città d’origine, anche se presto, nel 1902 l’abbandona per recarsi a Genova.
Ed è proprio Ferrara la città che con una mostra dossier e di studio attento, “La sostanza dell’essere” curata da Emanuela Fiori e Luciano Rivi, visitabile fino al 14 maggio 2023, oggi omaggia il suo lavoro strenuo, “indifferente” a qualunque atrocità, fisica (era afflitto da una malattia ossea che gli deformava le gambe) e politica – (le leggi razziali che dal 1938 avevano costretto gli ebrei alla segregazione).
La mostra “sonora”, che prevede anche alcuni brevi e fascinosi apparati audio, inaugurata il 24 febbraio nel Museo di Casa Romei, rientra nell’ambito del progetto Sintonie, promosso dalla Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna, Assicoop Modena&Ferrara e Legacoop Estense. Un nucleo di poche opere, e una scelta cronologica precisa: il decennio tra gli anni 40 e 50, forse il più rappresentativo, quello che percorre un momento in cui Melli vive recluso per via della segregazione razziale in un appartamento popolare di Testaccio a Roma.
Nella stessa città in cui più tardi, nel 1916, incontrerà il pittore metafisico Filippo De Pisis, dove nel 1936 si terrà la sua prima personale alla Galleria della Cometa e anzitutto, dopo l’emancipazione con l’uscita dal ghetto, conoscerà i pittori della Scuola e scena artistica contemporanea romana, Guttuso, Mafai, Capogrossi, Cagli, tra gli altri.
E da questo piccolo appartamento scarno e povero in cui vive con la moglie chiamata “Baba”, Anna Meotti che Roberto definisce un “calice di mansuetudine”, non smette di lavorare, con ogni probabilità infatti, le opere di paesaggio che realizza (e che vediamo in mostra) le fa attraverso lo sguardo di là di una finestra e che hanno spesso come esito una visione sghemba o dalla prospettiva “ribaltata” e laterale. Come nel caso dell’opera Spazzino al Testaccio (1940) che «Pare restituirci l’universo forzatamente ridotto di chi è costretto ad una esistenza segregata ed esplora con lo sguardo sempre lo stesso scorcio», scrive Emanuela Fiori in catalogo, o come nella veduta di Roma, Periferia del 1943, che si ripresenta, per forza di cose, come soggetto molte altre volte.
«Non so dire quant’anni sono passati dal giorno che salii per la prima volta le scale buie d’una casa popolare del Testaccio per andare a vedere la pittura di Roberto Melli, cui regio decreto era formalmente inibito alle pubbliche esposizioni», Carlo Giulio Argan.
Melli dipinge come un “distillatore” che raccoglie molte idee nell’ottica di una pittura dal linguaggio a metà tra il futurismo e la metafisica ma lasciando che il suo pennello venga anche influenzato da ognuna delle correnti artistiche che in quegli anni “folleggiavano” in Italia, prima di approdare negli ultimi tempi al tonalismo. Soprattutto influssi di morandiana memoria. Nella piccola e preziosa mostra ferrarese, vi sono infatti come opzione tematica e iconografica, oltre ai paesaggi e alle marine anche i ritratti (molti dei quali ritraggono la moglie, come l’opera Dormiente) che rappresentano un modo di sperimentare e sviluppare la sua esperienza di scultore sulla pittura, che le nature morte, appunto.
Roberto Melli non è stato soltanto uno dei grandi maestri del Novecento italiano ma anche uno xilografo, un critico, soprattutto nella fase dei Valori Plastici, un poeta e persino un cineasta tant’è che nel catalogo che accompagna la mostra, Lucio Scardino contribuisce ad arricchire l’esplorazione fatta sulla figura di Melli, facendo intuire quanto anche il suo coté cinematografico sia rimasto a lungo all’oscuro.
Come se di un artista che ha conosciuto la ferocia delle leggi razziali con le sue ombre lunghe, l’occultamento di una parte essenziale di esistenza, restasse ancora una scia lugubre che ne perseguiti e oscuri anche dopo la morte il destino.
Caterina Frongia, Millim Studio, Flaminia Veronesi e Anastasiya Parvanova sono le protagoniste della narrazione al femminile in corso presso Spazio…
Sei consigli (+1) di letture manga da recuperare prima della fine dell'anno, tra storie d'azione, d'amore, intimità e crescita personale.…
Aperte fino al 2 febbraio 2025 le iscrizioni per la sesta edizione di TMN, la scuola di performance diretta dall’artista…
Fino al 2 giugno 2025 il Forte di Bard dedica una mostra a Emilio Vedova, maestro indiscusso della pittura italiana…
Dopo otto anni di lavori, quel percorso lungo un chilometro che collega gli Uffizi a Palazzo Pitti torna ad essere…
Re Lear è morto a Mosca, Re Chicchinella, Lo cunto de li cunti: tanti gli spettacoli che hanno spiccato per…