Si trovano oramai ovunque. Li vedi sfrecciare vigorosi sull’asfalto o rallentare su strade dissestate per raccogliere qua e là qualche sassolino, che sarà sempre più difficile da levare. Li senti tonici e prestanti in superficie ma li scorgi successivamente sgonfi e abbandonati nelle profondità. In fondo al mare, sul letto di un fiume, al di sotto della vegetazione. PPP – Ultimo inventario prima di liquidazione di ricci/forte, presentato in anteprima al CSS – Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia e in tournée nei prossimi mesi a Lugano, Roma e Torino, inizia proprio con questa immagine. Con una catasta bianca di pneumatici, evoluzione di una delle più grandi conquiste dell’umanità, di quella ruota che da simbolo del progresso è oggi simbolo soprattutto di degrado.
Di un presente fossilizzato da tempo immemore dove le risposte, alle medesime domande, appaiono anch’esse immutate e dove le persone vengono ancora uccise per le proprie idee. “Dottore, che cosa ci prepara? Un altro romanzo nichilista?”, “Cosa ne pensa della nuova sinistra? È davvero una destra camuffata da testuggine…?”, grida Anna Gualdo, accomodata sui copertoni bianchi assieme alle altre quattro attrici (Capucine Ferry, Emilie Flamant, Liliana Laera, Catarina Vieira). E lo sbeffeggio continua, in un crescendo di cinici ammiccamenti, risate sguaiate e quel fiero senso di superiorità che sempre ostentano gli stupidi. Il bersaglio dell’interrogatorio e delle derisioni è Giuseppe Sartori. Artista storico della compagnia e unico uomo in scena, si pone come io pensante che intraprende un viaggio introspettivo nel dubbio, alla ricerca del senso della scrittura, del fare arte e del ruolo dell’artista in questa schizofrenica e distratta società.
Gli echi dei Comizi d’amore pasoliniani in sottofondo e lo scenario, — asettico ma apocalittico — ricompongono nella mia testa le frasi dell’ultima intervista del regista-intellettuale, cui questo spettacolo è ispirato: “Io pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso o di dieci anni prima, e poi diciamo: ma strano che questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito, o è un criminale isolato, o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.” Ma qual è, in questo delirante proliferare di immagini e di opinioni, la verità? Quella verità per cui tutti oggi si battono ma che troppo spesso viene confusa dalla massa (e non solo), con quella necessità quasi fisiologia di offendere continuamente? Rimango ferma su questo quesito. Nel frattempo, il vociferare esterno delle cinque donne e il pensiero interiore del protagonista lasciano sempre più spazio al movimento. Un movimento che se da un lato rende omaggio alla danza di Pina Bausch, dall’altro marca quell’impero dei segni calcistici — catenaccio, triangolazioni, conclusioni / discese concentriche e conclusioni — che secondo Pasolini erano propri rispettivamente del “calcio in prosa” e di quello in poesia.
La danza è sciolta, grintosa, violenta, di una violenza insolita per il duo. Meno esibita e gridata del solito. Sottile. PPP – ultimo inventario prima di liquidazione è uno spettacolo secco, asciutto e completamente ripulito da tutti gli eccessi verbali e visivi propri di ricci/forte. Un cambiamento che si era intravisto nel 2011 con Grimmless, dove la parte visiva cercava di avere la meglio su quella verbale. Ma se fino ad ora si era trattato di passaggi lenti, di tentativi, ora tutto ciò è svolta totale. Svolta preannunciata già nella Ramificazione del pidocchio, breve performance-preview per pochi spettatori sempre ispirata a Pasolini e andata in scena sempre al Contatto lo scorso dicembre. Anche in quel caso la scenografia era scarna. Metafisica, come l’idroscalo di Ostia col suo monumento funebre invaso dalla sporcizia e dalla natura. Irreale, come quella morte inaspettata, ritrovata proprio nel giorno della sua celebrazione. Il corpo riverso a terra, stropicciato dalle gomme che si accaniscono su ciò che è stato detto, scritto, fatto. Il corpo dell’intenso Giuseppe Sartori cosparso di petrolio. Le luci si fanno soffuse e violacee. È quasi giorno. In sottofondo le note nostalgiche dei Rondes dans l’eau di Françoise Hardy sembrano richiamare i luoghi tanto cari al regista. Dalle tranquille e rilassanti campagne friulane, ai quartieri abusivi e degli abusi ostiensi, nell’instancabile tentativo, tipico di molti artisti-eroi, di far “formare dei quadrati anziché dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua”.
Spettacolo intenso, commovente e grande interpretazione e presenza scenica di Emilie Flamant, attrice selezionata proprio nel progetto Ecole des Maîtres 2014 al CSS.
Eva Comuzzi
spettacolo visto il 31 gennaio
14-16 giugno 2016
Roma, Teatro Argentina
giugno 2016
Torino, Festival delle Colline Torinesi
Anno: 2016
testo: liberamente ispirato all’opera di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia: ricci/forte
regia: Stefano Ricci
interpreti:Capucine Ferry, Emilie Flamant, Anna Gualdo, Liliana Laera, Giuseppe Sartori, Catarina Vieira
scene/luci scene: Francesco Ghisu
assistente scenografo Lorena Curti
movimenti Francesco Manetti
costumi Gianluca Falaschi
ambiente sonoro Andrea Cera
assistente alla regia Ramona Genna
produzione:una co-produzione CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia / Festival delle Colline Torinesi