Categorie: arteatro

A TEATRO

di - 18 Gennaio 2017
Alle persone che dovessero chiedermi di descrivere loro lo spettacolo di Christiane Jatahy, andato in scena il 14 gennaio al CSS di Udine, direi di pensare ai tagli di Fontana. Lo so, probabilmente le confonderei. E se elas fossem para Moscou? non presenta, infatti, nell’immediato quasi nessuna delle componenti minimali di quell’opera. Qui la scena è caotica, il flusso continuo. Il dramma sentimentale da fine Ottocento, diviene melodramma da telenovela, quando è seguito a teatro e collusione narcisistica, se guardato dallo schermo cinematografico. Sì, perché la pièce, liberamente ispirata alle Tre Sorelle di Cechov, viene riproposta due volte e tutto si svolge nello stesso istante. C’è il sipario, dove una parte del pubblico viene fatta accomodare attraverso la feritoia della tenda e c’è la platea, sulla quale si staglia il display. Nel primo tempo non capisci. Intuisci, ma non capisci. Se ti trovi all’interno del palco, come nel mio caso, potresti anche pensare che non ci sia più posto per i ritardatari, costretti a guardare il tutto da un registrato. E in un certo senso è così. Solo che mentre all’interno, il racconto si sussegue in modo diretto, con tutte le scene e i dialoghi sovrapposti e confusi; dove si viene direttamente coinvolti nel racconto, invitati a partecipare — mangiando, brindando e ballando —, alla festa di compleanno dei vent’anni della sorella più piccola Irina, all’esterno ne vedi solo dei particolari.

Quasi sempre quelli che ti sono sfuggiti quando avevi tutto lì davanti. All’interno sei stordito, confuso. All’interno hai a che fare con la fisicità. Con la realtà. All’esterno ne scopri i dettagli. Sei nella vita virtuale. La osservi come se fosse un film, eppure tutto sembra più vero. Tutto è più drammatico, commovente, disperato. In primo piano. Più evidente dell’evidenza cruda del teatro e della vita. E allora qual è la realtà? Qual è il giusto punto di vista per guardare alle cose? Per trovare la risposta a quella domanda che viene continuamente posta in scena: da dove dobbiamo partire per attuare il cambiamento? Da dove? E soprattutto, se è il desiderio a renderci infelici, a portarci a volere sempre altro e poi altro ancora in modo disordinato e compulsivo, che cosa dobbiamo fare? Ognuna delle tre donne sembra rispondere alla questione in modo diverso, in base all’età e alle esperienze del proprio vissuto. Tutte e tre però alla fine rimangono ferme ad aspettare che qualcosa accada. A rimpiangere gli errori del passato, le cose non fatte e quelle fatte d’impeto. Eppure davanti a loro, davanti a noi, in ogni singolo istante della nostra vita, abbiamo la possibilità di scegliere. Di tuffarci e inabissarci, sperimentando nuove dimensioni, anziché restare sul bordo a sognare. Ad aspettare.


Concetto spaziale. Attesa di Lucio Fontana, ritorna prepotente anche qui. È un gesto chirurgico e netto che ci conduce in un’altra dimensione. È semplice, ma complesso e radicale come lo spettacolo di Jatahy. Sfida lo spazio, il tempo e sfugge a ogni definizione. È pittura e scultura o forse nessuna delle due, tanto quanto in questo caso non riusciamo a definire il limite fra teatro/cinema/performance, realtà e finzione. Gli attori in scena — intense e versatili le tre protagoniste Isabel Teixeiria (Olga), Julia Bernat (Irina), Stella Rabello (Maria) — si muovono disinvolti nella gestione dello spazio e dello spettatore che viene, spesso a sua insaputa, portato dentro e rigettato fuori dalla narrazione. Le scene, riprese dal vivo da essi stessi mentre recitano a teatro, vengono magistralmente montate nello stesso istante in cui avviene la registrazione dalla geniale Jatahy. Il risultato è un film d’essai intenso, stratificato e intelligente. Un’opera aperta a mille interpretazioni e punti di vista, che mette continuamente in discussione la visione e la realtà e sfugge ad ogni definizione. Uno dei più belli visti nelle ultime stagioni.
Eva Comuzzi
spettacolo visto il 14 gennaio 2017
Testo
da Le tre sorelle di Anton Cechov
Adattamento, sceneggiatura e regia dal vivo Christiane Jatahy
collaborazione alla scrittura Isabel Teixeira, Julia Bernat, Stella Rabello e Paulo Camacho
Interpreti
Isabel Teixeira, Julia Bernat, Stella Rabello
e con (in video) Paul Camacho, Rafa Rocha, Felipe Norkusand, Thiago Katona
Musiche
Domenico Lancelotti
e…
direttore della fotografia e operatore dal vivo Paulo Camacho
set design Marcelo Lipiani
costumi Antonio Medeiros e Tatiana Rodrigues

Produzione
Cia Vértice de teatro
in coproduzione con Le Centquatre-Paris, Theater Spektakle, Sesc
finalista Premi Ubu 2016 – Migliore spettacolo straniero presentato in Italia
spettacolo in portoghese con sopratitoli in italiano

Prossime repliche:

20-21 gennaio, L’Espal, Le Mans (Francia)
http://quinconces-espal.com/

26, 27 e 28 gennaio, Parvis, Tarbes (Francia)
http://www.parvis.net/

Nata nel 1977 è storica dell'arte e curatrice, collabora con MOROSO e ArtVerona. Lavora per diversi anni alla Galleria d'Arte Contemporanea di Monfalcone, specializzandosi nell'operato delle giovani generazioni. Al termine di questa esperienza, fonda NASAC (Nuova Accademia delle Arti Storico-Artistiche Contemporanee), progetto itinerante e trasversale che ha lo scopo, attraverso delle lezioni aperte a tutti, di far conoscere e divulgare le arti e la loro connessione con le altre discipline.

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