10 novembre 2003

arteatro_compagnie di ricerca Edgarluve: archeologia della scena

 
Edgarluve, uno dei più promettenti gruppi di teatro di ricerca italiano, ha presentato al Festival Inequilibrio di Castiglioncello La pestelapestE, seconda tappa di una trilogia su estraneità, crimine e società contemporanea. Guardando ad Albert Camus...

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Nel 2000 Alessio Traversi e Valerio Michelucci, rispettivamente drammaturgo e interprete, iniziano un’attività teatrale a Livorno, distinguendosi sin da subito per la loro originale scrittura scenica e per gli allestimenti con attore “solo” ispirati ad alcuni “classici” della letteratura contemporanea.
Si sono dedicati in particolare ad Albert Camus, autore con il quale la compagnia sente una particolare affinità elettiva quanto a tematiche e a visionarietà; la suggestione letteraria lascia però spazio ad un personale percorso teatrale e filosofico sulla tragedia dell’individuo visto nel suo isolamento, nei suoi conflitti interiori e intimi, specchio di una tragedia esterna e sociale.
La letteratura è un pretesto per parlare della realtà attuale -ci spiega Alessio Traversi- Ci interessava l’idea della libertà assoluta che mette in crisi il personaggio e la conseguente ricerca ossessiva di una gabbia in Camus, il tema Edgarluve dell’assedio come allegoria della vita e quello della responsabilità della persona. Amano definire la loro ricerca teatrale come una forma di autopsia e rianimazione e ancora, come fosse il lavoro di un’archeologo, un processo continuo di reperimento, riconoscimento e riconnessione tra i resti, tra le macerie della parola. Il tutto con un rimando non casuale a Calvino e Celati: sospensione di giudizio di fronte ad un inventario di tracce che fa saltare l’idea di una continuità della storia, impossibilità di una conoscenza globale e di una verità unica quando -come dice il personaggio Palomar- la superficie delle cose è inesauribile.
Alcuni grumi tematici danno il via al percorso scenico attraverso la letteratura, identificando un oggetto o una situazione ambientale: in Ambalaze è la veglia funebre sul letto della madre del protagonista, in LapestelapestE è la gabbia che rinchiude e protegge al tempo stesso, simbolo di una alienazione e di una prigione autoindotta.
Il nuovo progetto riguarda l’allestimento de La morte infelice, un romanzo di Camus lasciato incompiuto Il testo di partenza della drammaturgia di LapestelapestE curata da Alessio Traversi, presentato al Festival “Inequilibrio” (Castiglioncello-Li), oltre a La peste di Camus è il meno conosciuto La peste a Urana di Raoul Maria De Angelis, e indirettamente le descrizioni topiche degli effetti della peste che trovano spazio nella letteratura e nella saggistica.
Distruzione sociale, peste come piaga collettiva che fa crollare le istituzioni, le leggi, ma che innesca anche processi di tragica solidarietà. Nello spettacolo la prigione creata dal protagonista per sottrarsi all’epidemia dilagante, la cui follia e il cui male cresce al buio tra suoni di campane, rumori elettrici, cantilene, grida, parole ripetute ossessivamente, è una gabbia (creazione di Davide Mazzanti), un’uccelliera da cui non vuole più uscire neanche quando il male è sconfitto. Un esilio dall’uomo che porta ad una inesorabile pazzia, ovvero quando si finisce per stare bene a parlare con un muro.

link correlati
www.edgarluve.it

annamaria monteverdi

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