Dioniso è parte di una tetralogia mitologica che esplora i temi del teatro e dell’identità promuovendo un rapporto interattivo con lo spettatore. Edipo, Amore e Psiche, Odisseo e Dioniso affondano le radici nel mito per estrarre l’archetipo presente in ogni individuo dal rimosso e offrire allo spettatore un’esperienza intensa e liberatoria. Dioniso rappresenta l’istintualità, un’ambiguità che rifugge ogni spiegazione razionale e mostra la debolezza della natura e del sapere umano. È il dio dell’ebbrezza e dell’identità incerta (nel testo di Euripide è continuamente messa in discussione la sua discendenza da Zeus). Dio del teatro, della confusione tra realtà e finzione, del rovesciamento dei ruoli, chiede di essere adorato con la danza e il canto.
Il Teatro del Lemming ridiscute la teatralità stessa chiamando gli attori ad una partecipazione diretta e costitutiva del dramma; un’esperienza sensoriale concreta in cui l’attore guida l’emotività e il corpo dello spettatore alla riscoperta delle passioni.
All’inizio lo spettatore, seduto in platea, viene accompagnato sul palcoscenico per partecipare ai rituali orgiastici delle baccanti; con un rapido cambio di luci tutto è rovesciato: gli spettatori in scena e gli attori in platea dove si consuma il sacrificio finale.
La luce bassa toglie importanza alla vista, il tatto e il gusto assumono un ruolo di primo piano; anche l’udito è stimolato non da parole ma da suoni che agiscono direttamente sull’emotività anziché sulla ragione.
Lo spettatore non ha il controllo totale della scena e stabilisce un immediato ed empatico contatto con l’attore; una performance individuale, specifica e specializzata: unica perché strettamente connessa al rapporto tra i due e preparata dall’attore con un training finalizzato ad un equilibrio tra l’interazione con il partner e il rispetto delle regole e dei ritmi della performance. Ogni possibilità è valutata scientificamente dal regista eppure permane il gusto dell’imprevedibilità.
Allo spettatore-Penteo non è concesso né il solo guardare né il non credere, il rito dionisiaco richiede condivisione, anche se significa la messa in gioco di sé, e preparazione (gli spettatori devono entrare scalzi e privi degli effetti personali); avviene oltre alla sospensione del tempo reale in virtù del tempo teatrale, anche l’accesso allo spazio extra quotidiano della scena normalmente precluso allo spettatore.
Questa dimensione richiede presenza scenica, è godibile come gioco e ammette solo l’autenticità.
La regia di Massimo Munaro sposta le baccanti, lente e languide in contrasto con la folle danza dionisiaca, dalla collocazione agreste del testo euripideo ad un rosso talamo vellutato; in scena pochi oggetti indispensabili all’azione drammatica. Dioniso indossa la maschera taurina, primo vettore di trasporto dell’identità.
bio
Massimo Munaro, regista e curatore delle musiche dello spettacolo, fonda nel ‘87 con Martino Ferrari il Teatro del Lemming, punto d’incontro di linguaggi espressivi fertili e diversi come il video, la musica, la poesia e la recitazione.
daniela broggi
spettacolo visto il 13 marzo 2004
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mamma mia! che modo di scrivere! Così contorto...si fa una fatica a capire. e poi, è solo un gran parlare e nnon dire nulla! Mah!