Barokthegreat
nasce dall’incontro di due percorsi artistici individuali: la performer Sonia Brunelli, figura anomala di
danzatrice dotata di un’attitudine al movimento primariamente istintuale e al
contempo analitica; e la musicista Leila
Gharib, già voce e chitarra del gruppo post
punk Bikini the cat. Dalla loro unione si definisce una ricerca di radicalità e
nettezza espressiva che pensa lo spazio scenico come atto di continui fallimenti (della referenza). Barokthegreat si fa carico di una originale composizione scenica serrata dentro
una quadratura ritmica nella quale si inscrivono le figure corporee costruite
da Brunelli, letteralmente immerse nell’universo sonico di Gharib.
Nelle
creazioni performative – mai superiori ai 40 minuti – è in atto una strategia
di superamento della figurazione (e della rappresentazione). Le partiture
ideate e incorporate da Sonia Brunelli sono costruzioni in cui si dispiega al
massimo grado un’intensificazione della presenza, che sembra non conservare più nulla
dell’umano né dell’animale, per collocarsi in una zona d’indecidibilità, in uno spazio che
altera la relazione esterno/interno. La straordinaria energia istintuale delle
sue figure è quella dell’apparizione. La presenza corporea si stratifica di
forze invisibili che assumono la qualità dell’isolamento, della deformazione,
della dilatazione. Si tratta di forze che agiscono su un corpo mai assoggettato
a una tecnica, sebbene tecnicamente avvertito, un corpo vibrante, dotato di una
ricercata, ma non dichiarata, dimensione affettiva, finanche pulsionale.
Presentata in prima assoluta al
Grand Theatre di Groningen, ospitata i primi
di settembre a B.motion TEATRO/Opera Estate Festival di Bassano
del Grappa e di recente al Teatro delle Passioni di Modena dentro la cornice di
Vie Scena Contemporanea Festival, Barok è una creazione toccata
dal principio-guida dell’eccitazione come impulso elettrico, in
senso propriamente nervoso, liberato da una logica dell’isteria.
In
nero, incappucciata, con il viso coperto da un ovale arancione catarifrangente,
senza occhi né bocca, la figura si staglia su uno sfondo montato da temperature
luminose, piani di luci e ombre, retaggi di un cinema
astratto (dal Lettrismo a Stan Brakhage). Oggetti di plastica,
gelatine, piastre metalliche sono manualmente modulate (non a vista) davanti
agli spettri luminosi, creando un dispositivo analogico di proiezione che regola
i livelli di intensità attraverso una logica degli elementi compositivi. Su
questi detriti cromatici s’inquadra una schizomorfia gestuale regolata (per
atti mancati) su un loop
sonico che bagna, asciuga, gonfia e svuota l’ambiente attraverso un andamento
continuo e circolare. L’effetto cumulativo della ripetizione e la
sovrascrittura di una stessa cellula sonora registrata in origine si assoggetta
al cambiamento, al ritardo, all’anticipazione in una pronuncia altra, che
snerva le pulsazioni regolari in asimmetrie ritmiche.
Barok ha
letteralmente in The Origin
il
suo grumo originale e originario. The
Origin, performance ideata per Sujets à Vif 2008/Festival d’Avignon in stretto dialogo con il
regista londinese Simon Vincenzi, è
un calzino rovesciato di Barok. L’azione
si apre su due sottsassiane gambe capovolte, emergenti dal pavimento,
quasi elemento scultoreo. Un capovolgimento repentino svela la figura, un
abito e l’emergere di un non-volto. All’unisono uno spostamento
della sorgente sonora lavora sul taglio delle frequenze. Appare una creatura
nera fino al busto. Testa, capelli, mani, braccia di un nero intensissimo,
risaltano dal costume-armatura elisabettiano. Busto, corsetto, stringhe e
faldiglia per sorreggere gli strati di tessuto catarifrangente. Questa
performance è l’invenzione di uno spazio che agisce come vuoto
pneumatico, in cui un andamento ostinatamente ritmico, sospinto
dalla ripetizione pulsante di un accordo minore statico, serba qualcosa di
allucinatorio e familiare, un nodo psichico. La progressione del
suono, prodotto dalla sovraincisione di un timbro metallico e crepitante,
s’intensifica e si distorce con l’avanzamento della figura, come guidata da un
bussare ostinato e controllata da un basso continuo di fischi. L’immagine
aliena elude il centro spingendosi continuamente verso un fuori
della scena, fino alla brusca caduta che cancella il volto con
le gambe.
Una figura sintetica e statica è, invece, Fidippide, performance breve pensata per Marathon of the Unexpected, sessione dedicata
alle esperienze sperimentali del Festival
di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia 2010.
Barokthegreat si ispira al leggendario corridore greco: lavora
didascalicamente sulla logica motoria del maratoneta e lo fa rifuggendo
l’illustrativo e ribattezzando le motivazioni del movimento per
generare, ancora una volta, la presenza di un corpo attraversato.
*articolo pubblicato su
Exibart.onpaper n. 69. Te l’eri perso? Abbonati!
Info: www.barokthegreat.com
[exibart]
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