La décolleté dal vertiginoso tacco a spillo torna spesso nel tuo lavoro: Helmut Newton is dead 2006, Follow the rabbit 2007, Wwwoman 2007, Collage 2007. La condizione femminile, la sottomissione alle imposizioni sociali che rendono la donna vittima della propria femminilità sono un argomento centrale nella tua operazione. Come vivi e come manifesti la tua condizione di donna nella vita quotidiana e nella vita artistica?
La décolleté rossa è diventata il simbolo del mio lavoro. Sicuramente la condizione femminile è un tema centrale nella mia ricerca, ma anche il punto di vista maschile mi interessa molto. Sento questa tematica in modo speciale perché vivo la maggior parte del tempo in Italia, dove le donne sono ancora trattate come negli anni ‘50, a differenza dei paesi del Nordeuropa o degli Stati Uniti, dove sono nata. Vorrei però sottolineare che la maggior parte delle donne che si trova in questa condizione lo fa per libera scelta. La strada più corta è ancora quella più facile da queste parti. Nella vita e nella sfera artistica sono felicissima e fiera di essere donna e di mostrarlo nel mio lavoro, andando anche contro la tendenza del momento, che impone alle artiste di evitare un lavoro femminile.
L’aggressività del tacco a spillo ammalia, seduce, ma intimorisce anche. Che tipo di significati catalizzi in questo sensuale ma scomodo prolungamento femminile?
Il tacco a spillo simbolicamente ben rappresenta un certo ruolo, come quello del potere. Seduce, promette, sembra essere quello che tutti vogliono, ma una volta ottenuto, come la scarpa col tacco, deve essere vissuto-indossato con un certo stile e con la consapevolezza del proprio ruolo. Il potere è soprattutto scomodo, perché impone grandi responsabilità, difficili da gestire. Per questo ho voluto far indossare le scarpe a tutti.
Cosa ti spinge a una denuncia sempre pungente, volutamente e amaramente ironica nei confronti della donna-oggetto? Quali sono stati i tuoi punti di partenza e le considerazioni iniziali che ti hanno spinto a indagare con maggior insistenza questo argomento?
Come dicevo, questa condizione è più sentita perché viviamo in un Paese dove i clichè femminili e maschili sono ancora molto presenti. La mia personale condizione di donna, attraente, artista, determinata, in questo tipo di società, mi ha fatto cominciare a riflettere su certe tematiche che non potevo fare a meno di indagare nella mia ricerca artistica.
Mettere in vendita a 300 € le scarpe usate per la performance e le magliette col medesimo logo diventa un’operazione di merchandising alla Keith Haring. Si tratta di una commercializzazione del corpo e delle sue protesi?
Non parlerei di “commercializzazione” in senso negativo. La società contemporanea si basa sul consumo e sui suoi simboli. M’interessa il lato pop della vendita seriale. Mi piaceva molto l’idea di dare la possibilità a chi partecipava alla performance, indossando le scarpe, di poterle anche comprare, acquistando così il simbolo delle sensazioni provate nell’happening.
La donna-oggetto che vive nei tuoi Collage sembra essere scaturita dall’incontro di quello pop di Richard Hamilton -già abbastanza critico nei confronti del prepotente culto del corpo degli anni ‘50 e della condizione di finto benessere della famiglia perfetta- con quello di un’artista contemporanea come Candice Breitz, che negli anni ‘90 ha prodotto numerosi collage schizofrenici di donne a tre gambe, dal corpo bicolore e con le parti intime ben in vista.Ravvedi anche tu una vicinanza o un’ispirazione a questi lavori?
Sono artisti che amo moltissimo. Quando lavoro, però, non penso molto a quello che è stato fatto. Vivo la mia produttività come un bisogno che devo soddisfare per andare avanti.
Il gioco col corpo, la nudità o la messa a nudo, la bellezza ma anche l’imbarazzo, la performatività del corpo nello spazio e di fronte al pubblico sono elementi che ti attraggono. Come consideri il tuo corpo all’interno della tua ricerca artistica? L’ostentazione della nudità serve da catarsi per imbarazzo e paure oppure è semplicemente un modo per emulare la realtà che ci circonda e i prodotti dei media?
Il corpo è il mezzo che la natura ci ha dato per sentire e vivere, e continua a essere il mio media preferito di comunicazione. La nudità è semplicemente rappresentazione della natura, che per me è Dio.
Power non è solo una performance, che verrà poi ricreata nell’ex Manifattura tabacchi di Città Sant’Angelo, ma un insieme di progetti che riguardano anche fotografie e video. Ancora una volta ti relazioni al lavoro attraverso più mezzi e luoghi espressivi. Ti presenti come un’artista completa e multiforme. Che tipo di necessità esprimi attraverso l’uso di differenti forme di comunicazione?
Quando lavoro su una performance, a parte la documentazione video che può poi essere spunto per diventare un lavoro vero e proprio, mi piace sempre usare la fotografia. Il luogo, la modalità, se differenti cambiano sempre il linguaggio utilizzato all’origine. Mi piace indagare e riproporre luoghi e personaggi completamente diversi, mi aiuta a capire meglio il mio lavoro.
Quale è stato e sarà nei prossimi mesi il percorso di Power?
Power numero due sarà riproposta nella ex chiesa barocca di Sant’Agostino, con il patrocinio del Museo Laboratorio di Città Sant’Angelo. Un luogo completamente differente dalla performance milanese, in cui ho scelto una location minimale e metropolitana. La location è importante e deve essere sempre diversa e vicina al mondo e al tipo di società che rappresenta. Concluderei Power con una performance nel profondo Sud, magari alla Vucciria di Palermo o tra la spazzatura di Napoli.
Per la prima volta coinvolgi il pubblico nella partecipazione diretta e sofferta all’evento, facendogli indossare imbarazzanti tacchi a spillo. Una democratizzazione e uniformazione dei sessi?
Questa volta ho preferito stare dall’altra parte, essere protagonista mi ha un pò ha stancato…
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l'accostamento tacchi alti-pantaloni è la cosa più brutta e cafona che si possa vedere in giro...
possibile che nessuno se ne accorge?
a quel punto meglio le vere sofisticated ladies!