La qualità del buio è una necessità dello sguardo? È l’oscurità la condizione che permette alle immagini di affiorare in modo epifanico? Nelle sale di rappresentazione italiane, il buio è inibito dalla presenza di luci segnapasso sui gradini, dalla segnaletica di sicurezza sopra le porte e dalle infiltrazioni di luce provenienti da sotto le tende.
Proprio la qualità del buio è la condizione assolutamente necessaria per la scena degli
Orthographe, formazione artistica di Ravenna che, con
Orthographe de la physionomie en mouvement, esordì nel 2005 alla Biennale di Venezia diretta da Romeo Castellucci con un dispositivo per camera ottica, indicando l’orientamento di una ricerca tesa a indagare un linguaggio ibrido tra pittura, fotografia, (pre)cinema e performing art. Presente nel cartellone
Nobodaddy del Teatro Rasi di Ravenna, Orthographe mostra lo spettacolo
Tentativi di Volo.
Ponendosi all’interno della nuova tradizione della scena dematerializzata – si pensi ai fantasmi video di
Teatrino Clandestino in
Madre Assassina, dove gli attori doppiano live le immagini sullo schermo, o ai corpi visibili solo tramite il supporto in pvc e attraverso cera fosforescente dei
Pathosformel o, ancora, gli ologrammi dei
Santasangre –
Orthographe pensa alla scena come il macro-dispositivo di una camera ottica composta da un ambito abitato dai performer e da fonti luminose, una sala buia abitata da 15 spettatori per volta e la membrana di divisione come fosse una lente ottica su cui vengono proiettate immagini, in simultanea. Le immagini oniriche e sformalizzate, che appaiono davanti agli spettatori, sono il frutto di azioni che si svolgono contemporaneamente alla proiezione percepita.
Questo dispositivo produce immagini che rimandano alla pittura, alla fotografia e contemporaneamente alle elaborazioni dell’expaded-cinema.
Tentativi di Volo è “
un lavoro di quel particolare ricordo che lascia l’esperienza del volo notturno nel sognatore al risveglio”, afferma
Alessandro Panzavola, ideatore della macchina scenica. Allo spettatore è richiesto di porsi in uno stato di abbandono percettivo: lo sguardo è pervaso da immagini di sogno dov’è necessario guardare la scena in base alla tensione inestinguibile di messa-a-distanza e messa-a-contatto nell’ovattamento di una fonosfera di suoni elettronici che vengono da un mondo lontano.
La dissolvenza dell’immagine residua sullo schermo un materiale di cui si percepisce la texture psichica, una matteria tangibile che invoca uno sguardo aptico. Le immagini impastate con il sogno via via si definiscono come accidenti della forma che generano metamorfosi, imponendo un ritmo fantasmatico che, per via psichica, s’impone ai nostri occhi.
Tentativi di Volo attiva un sequestro percettivo, dando vita a un teatro mentale in cui le capacità immaginifiche dello spettatore producono la propria scena nella messa in gioco del suo inconscio ottico per la produzione della rappresentazione. E proprio la qualità del buio, ottenuta nella camera scura, diviene elemento primario di supporto alla scrittura/incisione dello spettacolo, come azzeramento della percezione per l’epifania d’immagini che, nel loro apparire e scomparire, residuano la materia del sogno, che lo sguardo riesce a toccare e a percepirne la consistenza fantasmatica.
Si vive un’oscura febbre visiva: un intenso sguardo che si abbandona al buio del dispositivo, lasciando affiorare immagini come proiettate da uno spazio mentale, che guarda il non spazio della privazione sensoriale. Perché “
le arti visive scaturiscono dall’occhio, unicamente dall’occhio”.