Difficile trovare una tendenza comune, un filo rosso che tracci una qualche analogia tra i dodici lavori finalisti del Premio Internazionale delle Performance, ideato dalla Galleria Civica d’arte Contemporanea di Trento. La terza edizione, che si è conclusa presso la Centrale Idroelettrica di Dro -suggestiva cornice nota ai frequentatori estivi di teatro contemporaneo- ha mostrato piuttosto un campionario tipologico di azioni, si direbbe epigonali, giocate nel rivendicare l’artisticità di gesti consumati su un piano per lo più ludico-concettuale, con qualche connotazione politica che vale piuttosto come risvolto della medaglia. La condizione di
liveness è piuttosto spinta a investigare la relazione fruitiva dentro una cornice che pone a margine domande sullo spazio della (rap)presentazione, senza portare a far sconfinare l’atto creativo né verso il flusso della vita quotidiana, né tanto meno verso forme davvero teatralizzate.
Il trio californiano
My Barbarian fa volutamente uso di una sintassi all’accumulo, capace di mescolare il musical del Broadway più folklorico -con tanto di cambio d’abiti (stoffe legate a casaccio) e lancio di fiori finale- e una versione eterodossa del testo shakespeariano in cui Romeo incontra il suo Romeo. Si tratta di un evidente luogo del sarcasmo che passa attraverso un’idea convenzionale d’intrattenimento.
In un pieno di materiali di riuso, lo statunitense
Scoli Acosta -metà mimo, metà clown postmoderno- lavora in una zona indecisa di confine tra il confezionato (per quanto povero) di oggetti di cartone, scale metalliche, microfoni e fiori di carta, e il casuale accumulo d’azioni, in una wunderkammer delle non-meraviglie che ospita anche l’uragano Katrina (uno scatolone, scotch da pacchi e pellicola di plastica) che si monta con aria compressa.
Kiki Blood, novella Lady Macbeth, si aggira nella centrale, in abiti tardo ottocenteschi e, con attrezzi taglienti alla mano, incide tele sanguinanti. Presenza parossistica (sin dal nome) che ordisce richiami un po’ triviali, per gusto e per resa, da
Fontana a
Nitsch. Ma ogni tentativo di distanziamento ironico, che si vorrebbe far passare in virtù della teatralizzazione posticcia dell’azione, non vale neanche in quanto reificato facsimile. Non fa gioco, infatti, il flirt irrisorio tra il richiamato furore provocatorio della body art e il kitsch del riprodotto.
Ma in questa rassegna tipologica non manca neppure l’orizzonte tecnologico. C’è spazio per i colori brillanti, le luci sintetiche di Second Life portati in scena dalla coppia
Eva e Franco Mattes, meglio conosciuti come
01.org e già vincitori del Premio New York 2006. Ma il digitale convive con l’analogico: ecco, nella spiazzo ghiaioso antistante la centrale, la performance di
Matteo Rubbi che inscena i movimenti dei corpi celesti le cui orbite ellittiche vengono percorse da persone coinvolte nell’azione. Dj set per skateboard è la performance dell’italiano
Dj Balli, mentre il danese
Søren Dahlgaard ri-vestito di pagnotte cerca di suonare una batteria, prima celata dietro una casetta anderseniana di baguette.
Ma la giuria ha deciso di assegnare il primo premio “
per la capacità di costruire un’immagine persistente, risolta con forza e in maniera sincera”, al gruppo polacco
Sedzia Glowny, formato dalle non ancora trentenni
Karolina Wiktor e
Ola Kubiak, per la performance
Part LXVIII. Una stanza, due finestroni, luce quasi diurna e due donne, in lingerie e parrucca nera, bisbigliano qualcosa. Lo sguardo fisso nel vuoto e le braccia aperte come nelle classiche statuette della Madonna, nelle mani qualche monetina, mentre si diffonde una base musicale monotona e in qualche modo percussiva. Quelle presenze valgono come riemergenze minimali e asciutte di tutta una tradizione pittorica e scultorea dei soggetti sacri. Sono iconiche madonne, ma in qualche modo anche figure cristologiche. In funzione antifrastica denunciano l’impossibilità di una maternità virginea con un’evidente
vis polemica che chiama in causa, in prima istanza, l’idea della vendita del corpo e, in seconda battuta, lo stesso mondo dell’arte come mercato.
L’ideazione di una macchina simile a un aliante elettrico monoposto incapace di reali spostamenti nello spazio fa recapitare il secondo premio all’italiano
Michele Bazzana, che nella performance
Finché c’è benzina c’è speranza sembra aver “
costruito la scena di un fallimento perfetto”.
Terzo classificato: l’artista israeliano
Meir Tati, “
per il modo in cui ha articolato un tema politico controverso, mescolando pericolo e sorpresa”. Su un tavolaccio da bottega artigiana, frese elettriche, seghe di diversa foggia, taglierini, forbici e una persona la cui testa appare coperta da una bolla di plastica dura giallo ocra. Tati procede all’incisione: palline da ping pong, paglia, rafia, scarti vari e pulcini di plastica gialli vengono tratti fuori dalla bolla, mentre un video ritrae in semisoggettiva il percorso di armi mortali, come nella sintassi filmica da videogame di
Elephant di
Gus Van Sant (ma senza quella pulizia estetica). E il riferimento corre alle azioni di guerriglia urbana nei territori israeliani.
Una menzione speciale al vitale giapponese
Ei Arakawa, ospite di
Performa 05 e giĂ incluso nella lunga nuova lista di artisti della rassegna biennale newyorchese diretta da RoseLee Goldberg.
Ghost/Fantasma rivendica uno spazio capace di mettere in gioco, in un pieno di ricorsi Fluxus, il rapporto artista-pubblico. Sono state coinvolte, infatti, persone di diversa nazionalitĂ di Trento e dintorni per dar vita, durante la seconda serata del premio, a una rivista poi regalata ai presenti.