Sul
palcoscenico di
Roberta Lena un tripudio d’immagini, suoni, parole si insegue
continuamente per raccontare al pubblico
La buona novella di
Fabrizio De Andrè.
Quel
concept album,
nato
dalla lettura di alcuni vangeli apocrifi – in particolare il
Protovangelo di
Giacomo e
Il
vangelo arabo dell’infanzia – e pubblicato nell’autunno rivoluzionario del 1970, divenne uno dei
dischi più controversi del cantautore italiano. Innanzitutto perché affrontava
il tema religioso nel periodo di piena rivolta studentesca, poi perché
individuava nella figura di Gesù Cristo una forte carica sovversiva. Due versi
di
Laudate hominem, ultimo brano dell’album, divennero presto il manifesto de
La buona
novella: “
Non
voglio pensarti figlio di Dio ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”. De Andrè raccontava la
carnalità e la forte umanità dei testi evangelici e della figura del Cristo, “
perché
se lo sì considera un dio non sì può imitare; se lo si considera un uomo, sì”.
Roberta
Lena estremizza gli intenti di De Andrè tingendo le parole del cantautore con
vernici multietniche e atmosfere beat. I personaggi maschili stanno ai bordi
dello spettacolo, raccontano ma non vivono la scena, per fare spazio a Maria o
alla figura della madre. Dall’occhio della donna – che coincide col punto di
vista dello spettatore – è vista la storia del Cristo.
De
Andrè parla attraverso il suono del violino di Mario Brunello, mentre sul palco
si susseguono melodiche le voci di Sabina Sciubba, Chiara Caselli, Costanza
Alegiani e la carica etnica di Evelina Meghnagi. I performer s’inseriscono in
un disegno scenico estremamente barocco, costellato da giochi citazionistici.
La videoarte si interseca a riprese documentaristiche di popoli arabi o degli
sbarchi dei clandestini, al video di animazione, a estetiche pop e linguaggi
multimediali, per completarsi con le installazioni ideate dall’artista
Benedetta
Jacovoni.
Il
contrasto fra tinte rosse e bianche rappresenta la verginità di Maria, la
perdita della sua giovinezza, la morte dei suoi giochi e dei suoi desideri,
incarnati in un piccolo robot ispirato alla tradizione manga giapponese. Il
volto della giovane appare in un video in bianco e nero, mentre, per l’ultima
volta, mastica un chewing gum, ci fa un palloncino e lo lascia scoppiare sul
volto.
Come
guest-star entra in scena Vinicio Capossela, si esibisce meravigliosamente
nell’intensa
Via della croce per poi scomparire nel retroscena. Ancora, Giuseppe è
interpretato da un virtuale Stefano Benni che in video legge
Il Testamento
di Tito, mentre
le parole de
La passione secondo Matteo di
Pasolini si intersecano a quelle di De Andrè.
Big
Electric Chair di
Warhol,
I
sette peccati capitali di
Bosch,
L’
uomo vitruviano di
Leonardo, il
dettaglio dei piedi del
Cristo morto di
Mantegna sono richiamati alla memoria, citati o ricostruiti
attraverso animazioni e trucchi elettronici. Le immagini espresse dalle parole
del cantautore genovese si materializzano una dopo l’altra in una costruzione
drammaturgica talvolta naïf, tendente ad affrontare le problematiche de
La
buona novella in
maniera massificante (nel finale appaiono in video come fotografie istantanee i
volti di gente comune, giovani e anziani esposti su una bacheca color arancio)
ma perfettamente costruita.
Come
“spettacolo totale”,
La buona novella di Roberta Lena gioca bilanciando segni e linguaggi,
ma abbandonando di rado retorica e scelte didascaliche attraverso poche
immagini oniriche e poetiche, come quando la parola di De Andrè, in uno dei
momenti più profondi dello spettacolo, viene svuotata da ogni suono e
rappresentata attraverso la danza, i gesti/segni dell’alfabeto muto. Così
l’arte (
La buona novella) diviene
evento.
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grazie per il bell'articolo!
Molto bella è stata anche la mostra presso il Palazzo Ducale di Genova dedicata a De Andrè e multimedializzata da Studio Azzurro.