Chiamato
a dirigere la sesta edizione di Equilibrio – Festival Della Nuova Danza di
Roma,
Sidi Larbi Cherkaoui ha
voluto mettersi a nudo. Ma nessuno scandalo. Soltanto un festival che nasce
“addosso” al suo direttore artistico, quasi fosse una macchia di umido lasciata
su un vetro dal suo respiro. Non è un caso che l’edizione 2010 di Equilibrio si
presenti come un focus sulla danza contemporanea del continente americano e
che, allo stesso tempo, Sidi Larbi Cherkaoui decida di aprire il festival con
Orbo
Novo, sua ultima produzione
coreografica nata da un forte legame con la scena americana e siglata dalla
collaborazione con la
Cedar Lake Contemporary Ballett di New York.
Sidi
Larbi Cherkaoui non è soltanto un artista eccentrico e poliedrico, è anche una
figura eclettica. Una personalitĂ stratificata. Figlio di padre marocchino e
madre belga, cresciuto in una scuola coranica, è un intellettuale nomade che
ama il baratto culturale, da risolversi in una sorta di poesia del
melting-pot. Studioso delle differenti religioni, Cherkaoui si
immerge in atmosfere profondamente spirituali, sospese tra Occidente e Oriente,
costruendo dal loro intreccio non banale la propria poetica. Poetica segnata da
una sottile forma di scissione, sempre alla ricerca di una “
umana nostalgia
dell’interezza”, come la
chiamerebbe Elémire Zolla.
Dalle
scene livide e aspre di
Zero degrees, nato dall’incontro con
Akram Khan, danzatore originario del Bangladesh, passa alla collaborazione con
Maria
Pagès in
Dunas, tingendo il suo repertorio dei colori del flamenco
spagnolo, quindi ritorna ai silenzi dell’Oriente. Vive a contatto con una
comunità di monaci Shaolin per condurli in scena nell’incantevole
Sutra. In seguito dall’armonia e dalla spiritualitĂ
cinese approda nel “Nuovo mondo”.
Orbo
Novo è uno spettacolo reduce della
precedente esperienza orientale dalla quale Sidi Larbi trascina gli spettatori
dell’Auditorium di Roma in atmosfere profuse di rimandi spirituali. I suoi
danzatori si muovono all’interno di una struttura di pareti mobili, rosse,
formate da griglie di quadrati. Queste pareti costruiscono labirinti, metafora
dei percorsi mentali indagati nel volume della dottoressa Jill Bolte Taylor:
La
scoperta del giardino della mente.
Dal testo il coreografo estrae alcune parti per analizzarle musicalmente e
lasciarle cantare (recitare) dai danzatori in scena. Il primo approccio al
continente americano avviene dunque attraverso la lingua, l’inglese, alternato
– in contrappunto musicale – all’italiano. Il testo, focalizzato sulla contrapposizione
dell’emisfero cerebrale destro e dell’emisfero cerebrale sinistro, apre una
serie di interpretazioni alle immagini che da questo momento in avanti i
danzatori produrranno in scena. Quello del recitato è sicuramente un momento
didascalico, ma Cherkaoui sa esattamente dove condurre lo spettatore.
Costruisce
dunque uno spettacolo estremamente calligrafico, sorprendente in virtĂą della
sua calligrafia. Pone attenzione minimale alla fisicitĂ dei danzatori che
ricalcano stereotipi di bellezza prettamente occidentale (visi puliti, corpi
maschili muscolosi, corpi femminili leggeri, immersi in aloni di grazia)
affiancandoli a un numero minore di caratteri orientali. Quindi lascia denudare
questi corpi per contrapporne colore, calore e sesso. L’emisfero occidentale
prevale su quello orientale, l’uomo prevale sulla donna (il numero dei
danzatori di volta in volta in scena è maggiore di quello delle danzatrici, gli
uomini si spogliano da soli mentre le danzatrici donne sono spogliate dagli
uomini) ma poi i corpi si aggrovigliano, si incollano, si aggrumano in un
perfetto equilibrio tra sinistra e destra, tra passato e futuro, tra i poli
opposti della mente umana.
Seppur
lontani da
Sutra, i danzatori
conquistano il loro
nirvana, fin
quando le pareti mobili non riprendono a danzare, scomporsi e contrapporsi
distruggendo l’armonia creata per sostituirla con nuove dicotomie. In questo
irrisolto dualismo, la poetica della scissione di Sidi Larbi Cherkaoui si
risolve in rapporto dialettico: fra teatro(arte) e industria dello spettacolo
che qui si fondono in un
androgino
capace di mostrare le proprio
facce.