Il teatro per
Snejanka Mihaylova (Sofia, 1978; vive ad Amsterdam) è una sfida aperta col linguaggio. La sua ricerca si attiva attorno a un problema teorico indagato nello spazio della rappresentazione. Scrivere un’azione teatrale è toccare un punto limite: “
Il mio lavoro”, sostiene, “
non parla di teatro ma cade nel teatro. La materialità della forma, le strutture e gli elementi paradigmatici dell’azione performativa e il linguaggio estetico sono elementi in cui produrre continue crisi. Ma questo non significa trafficare con i limiti della significabilità”.
Vincitrice, per acclamazione unanime della giuria, del Premio Extra 2008, coordinato da
Andrea Nanni e promosso dal Gai con l’intento di promuovere le arti performative, l’artista-filosofa bulgara ha ripresentato al Teatro delle Passioni di Modena
Eupalinos, la performance con la quale si è aggiudicata il primo posto “
per la maturità e il rigore di una ricerca performativa personalissima in cui la riflessione teorica e la poetica scenica si coniugano compiutamente”.
Luogo di mutamenti e interrogazioni radicali,
Eupalinos giunge alla versione definitiva dopo uno sviluppo per fasi iniziato nel 2001. Per una corretta lettura della vicenda artistica, delle modalità costruttive e decostruttive che investono le creazioni di Mihaylova, è necessario rivelare un dato sostanziale: la ricerca artistica si genera da un nodo teorico che provoca la scena fino a individuare un punto di collasso che si alimenta per l’insistente messa in forse degli esiti estetici (e poetici) raggiunti, senza mai abdicare all’idea d’inconclusione del processo o inclinare alla retorica dell’irresolutezza. Oggi
Eupalinos è una visione e un viaggio, un costrutto concettuale e un gioco da bambini. Si configura come “
una condizione di possibilità della visione” che mette l’azione performativa di fronte ai suoi elementi paradigmatici: tempo, spazio, materia, suono.
Se il punto di partenza di
Eupalinos è il testo omonimo di Paul Valéry – metà prosa poetica, metà dialogo platonico che esalta l’architettura come opera d’arte -, ciò che Mihaylova fa in scena è allineare in verticale, far scorrere in orizzontale, innalzare e far ricadere elementi modulari sonorizzati dal sound artist
Nickolai Nickolov. E, ancora, gira e rigira minuscoli argani meccanici e carrucole, sposta pesi e piccole leve. La scena che si compone di fronte al pubblico è un corpo, un oggetto che viene a nudo: un congegno costituito da piccole pulegge e apparati meccanici, posti sotto la superficie di un praticabile attrezzato dal quale affiorano sottili pellicole di plexiglas e compensato, pezzi di plastica, moduli stilizzati in legno chiaro, che attraversano letteralmente il corpo solido della struttura.
Così facendo addiziona, sottrae, calcola le immagini del senso, le possibilità del linguaggio di dire e rappresentare, di vedere ed esser visti. Dà vita a un dispositivo di calcolo cristallizzato nelle articolazioni di luce di
Paolo Pollo Rodighiero. Quello che si verifica è in definitiva un’indagine sulle basi logiche del linguaggio attraverso l’evocazione (ironica?) dei principi di contraddizione e di contrarietà del quadrato aristotelico delle opposizioni; una manipolazione di metaconcetti per mezzo di figure elementari, metasemi che tracciano in scala una
cité idéale. Forse il suo progetto? Di sicuro la sua utopia è (ar)resa (alla) visione.
Skyline dell’(im)possibile. Il corpo-scritto della città si espone come distillata configurazione per segmenti geometrici che danno vita a paesaggi carichi di sospensioni: all’immagine è restituita una linea segreta di inquietudine che mette in relazione problematica il pensabile e il visibile.
Trasferitasi da più di un anno a Amsterdam, dove segue il programma di ricerca di DasArts – Advanced Studies in the Performing Arts, Snejanka Mihaylova sta ora sviluppando un progetto artistico denominato il
Teatro del Futuro, di cui ha presentato una performance-manifesto fortemente concettuale lo scorso autunno nella cornice del Festival Crisalide di Forlì, diretto da
Lorenzo Bazzocchi. Ispirata dagli atti performativi di John Austin, l’azione scenica è stata intesa come un movimento visibile del pensiero, enunciato in forma orale e strascritto in segno grafico inteso il punto di frizione di un’immagine invisibile.
In un’intervista rilasciata qualche tempo, affermava: “
Penso che non ci sia una condizione ideale per fare ricerca. Il ‘Tractatus’ è stato scritto da Wittgenstein mentre era sul fronte. Non esiste un luogo ideale per interrogarti sul tuo pensiero. Non è mai esistito anche se sentiamo una certa nostalgia per gli Dei. Ho la netta sensazione che il teatro, ma anche le arti visive, abbiano a che fare con la domanda: che cosa è il linguaggio? E in questo senso trovo che sia impossibile parlare di che cosa è il linguaggio senza domarsi simultaneamente cosa è la visione”.