Dopo la performance dell’ex Deviate
Nigel Charnock al Piccolo Teatro Studio, è toccato alla compagnia svizzera
Alias, diretta dal coreografo brasiliano
Guillermo Botelho, aprire il sipario del Teatro dell’Elfo per la rassegna
Exister_08, meritevole esperimento del Comune di Milano sotto la direzione artistica di Annamaria Onetti. L’evento nasce con l’obiettivo di sopperire all’insufficiente offerta di spettacoli di danza a Milano, strutturando un calendario di spettacoli che -da metà gennaio a fine aprile- in maniera itinerante e diffusa coinvolge l’intera città in alcuni dei teatri più importanti e degli spazi meno convenzionali.
La compagnia ginevrina costruisce un impianto coreografico a matrioska, in cui nella stessa scena, ripetuta più volte e sempre in maniera diversa, i protagonisti appaiono sotto una luce differente: il loro movimento è minuziosamente analizzato al microscopio, fino a raggiungere lo stato atomico del pulviscolo (
poussière). Si tratta di un banale frammento di vita quotidiana: un uomo qualunque alle prese con il mènage familiare, che affronta le insidie del traffico cittadino, per recarsi dal medico. Botelho applica il principio dell’infinitamente grande nell’infinitesimale: ogni volta che la lente d’ingrandimento ci mostra la vita nella sua nuda esteriorità, scorgiamo particolari importanti che a prima vista erano sfuggiti.
Come i fiocchi di neve che, visti al microscopio, rivelano una loro sorprendente verità, i personaggi disvelano lati imprevisti della propria personalità: il dottore (Christos Strinopoulos) visita il paziente in uno stato di stupefacente liquefazione mimica e, quando si trasforma in un pacchiano animatore turistico accompagnato da due soubrette in paillette, cerca di insegnare la macarena al malcapitato Guillaime Marie che, con singolare delicatezza interpretativa, traccia i conflitti interiori dell’Uomo normale. Un losco personaggio in doppiopetto e stuzzicadenti in bocca (tratteggiato un po’ troppo sopra le righe dall’italiano Fabio Bergamaschi) rivela la sua natura grottesca, finendo per ballare in maniche di mutande rosse e calzini, e rivelandosi in seguito il vero
deus ex machina della scena. O la donna vestita in tailleur verde (Marie Goudot), l’unico personaggio che sembra essere connotato da una matrice ultraterrena ed estranea allo stanco fluire della routine.
Tutti gli interpreti appaiono ben preparati dal punto di vista performativo e ben amalgamati nelle scenografie essenziali di Gilles Lambert e nell’impianto sonoro elettronico di Andrès Garcia. Salvo alcuni momenti di calo ritmico, la compagnia offre allo spettatore un’immagine allo specchio dell’uomo contemporaneo così com’è, sotto l’apparente patina di quotidianità.