Tutti gli spettacoli di
Yasmeen Godder hanno, nella loro essenza, qualcosa di straordinariamente unico, difficilmente rintracciabile in altre esperienze presenti nel diversificato panorama della danza contemporanea internazionale.
In un misto d’ironia caustica e rigore formale, la ricerca coreografica e le creazioni di Godder indagano temi sempre diversi: i meccanismi della percezione visiva riconoscibili nella creazione del 2003,
Two playful pink; crudeltà e violenze relazionali impaginate attraverso i cliché degli horror movie in
I’m mean, I’am del 2006; questioni politicamente controverse come la guerra in Israele in
Strawberry cream and gunpowder del 2005. Mescolando e reinterpretando intelligentemente alcuni stilemi della
contact improvisation e dell’atletismo sportivo, la danzatrice-coreografa israeliana, cresciuta artisticamente a New York, in contatto con artisti come
Vera Mantero,
Susan Klein e
Barbara Mahler, è riuscita a creare un linguaggio coreografico proprio, di grande impatto visivo ed emotivo.
In
Sudden Birds, spettacolo del 2002 presentato per la prima volta in Italia a
RED – Reggio Emilia Danza -rassegna quest’anno tutta dedicata alla danza israeliana, che ha ospitato anche, fra gli altri, la
Kibbutz Contemporary Dance Company con lo spettacolo
Ekodoom, il
Batsheva Ensemble con
Kamuyot e
Talia Paz con
Magnolia,
Love,
Habayta– il focus del lavoro è la ricerca intorno all’essenza della femminilità, indagata con intransigenza e precisione.
Senza vergognarsi di affondare il coltello nella verità del corpo delle sue danzatrici, né ritraendosi nell’approfondire l’indagine sulle fragilità umane, Godder mette in scena, in uno spazio bianco e asettico, illuminato glacialmente al neon, la tensione e i rapporti di quella particolare ricerca affettiva e di contatto umano che si trasforma in esplicita crudeltà verso l’
altro nel momento del suo rifiuto.
Le quattro danzatrici (Shahar Brown, Yasmin Farber, Maya Weinberg e Alex Shmurak), vestite a lutto e accompagnate da una violoncellista elettronica, alternano assoli a momenti di gruppo, che vivono dell’articolata combinatoria di gesti che si compongono in tracciati corporei per disfarsi subito dopo. Gomiti piegati, braccia che feriscono come lame, mani sul volto, colpi allo stomaco, corpi che si rinchiudono l’uno nell’altro, abbracci imperiosi e carezze indiscrete.
Lo spettatore rimane immobile per tutta la durata del pezzo. Di quel continuo e concitato danzare percepisce una crudeltà leggera, una velata ironia, una sensazione di distacco, eppure di estrema vicinanza con le interpreti, con la loro condizione di solitudine e di costante ricerca di un corpo da avvicinare al proprio, e si sente infine partecipe di quel gioco d’incontri e di esclusioni, che regala momenti inaspettatamente teneri e deliziosamente spietati.