A quasi un quarto di secolo dalla nascita, forte del riconoscimento internazionale,
Romaeuropa Festival conferma, in questa 23esima edizione, la linea che da sempre ne definisce la fisionomia: attenzione rivolta alle forme tradizionali dello spettacolo, ma anche all’innovazione; al contesto romano, ma anche a quello transnazionale.
Questa edizione presenta però alcune significative novità. Prima fra tutte la nomina di un direttore artistico, Fabrizio Grifasi, che pur senza apportare essenziali cambi di strategia (da notare che l’ex direttrice Monique Veaute, oggi capo di Palazzo Grassi a Venezia, rimane nell’organico con la carica di vicepresidente) riesce a introdurre elementi originali, come la piattaforma web
RomaEuropa Web Factory. Il progetto, frutto di una collaborazione con Telecom Italia, propone il web come luogo di presentazione e fruizione artistica, una sorta di prolungamento vitale del programma, in grado di raccogliere, sviluppare e valorizzare gli stimoli provenienti da artisti e forme d’arte inusuali e ancora parzialmente sconosciute.
Il programma della lunga rassegna dedica spazi alle indagini personali degli artisti coinvolti, non prevedendo un particolare filo conduttore.
In realtà però per Grifasi, un orizzonte comune alle diverse proposte è individuabile nell’attenzione alla ricerca tecnologica, coniugata a forme di sincretismo linguistico, produttivo ed espressivo, e al cosmopolitismo (il festival ospita artisti provenienti da Europa, India, Giappone, Stati Uniti e Israele).
Perfettamente in linea con questo panorama multiforme e articolato, e mostrando di raccogliere diversi aspetti della più ampia linea curatoriale del festival, è la coproduzione del nuovo lavoro del collettivo teatrale romano
Santasangre, formazione che, sin dalle prove d’esordio, opera in direzione di una commistione tra i differenti linguaggi sperimentati nelle precedenti esperienze dei suoi componenti, in una risultante che amalgama arti visive, body art, installazioni sonore e meccaniche.
Li abbiamo visti a RomaEuropa proprio con
Seigradi_concerto per voce e musiche sintetiche, uno dei progetti vincitori del bando Nuove Creatività promosso dall’ETI. Terzo capitolo degli
Studi per un Teatro Apocalittico,
Seigradi è una micro-indagine condotta attraverso musica, studio dell’immagine, canto, ed esplorazioni sulla presenza corporea e sui suoi gradienti. Si tratta di una riflessione in-forma-di-spettacolo sulla bellezza e sulla potenza dell’acqua, partendo dall’esaltazione (tendente al parossismo) della sua energia vitale, per analizzare, attraverso una via negativa, le condizioni esistenziali ed eco-sistemici di fronte alla sua assenza. Lo spettacolo si articola, proprio nello spazio virtuale di quei “sei gradi” che separano il rigoglio della vita dal vento arido della sua dissoluzione in un progressivo
divenire-deserto del mondo.
Seguendo le quattro fasi del divenire, individuate da Aristotele nel I libro della
Fisica, ogni elemento della scena subisce progressivamente una metamorfosi, in un costante esperimento coreo-sonoro che coinvolge fonti luminose, immagini olografiche, suoni campionati direttamente in scena ed elementi naturali. In tutto ciò, la visione risulta sfasata grazie alla co-presenza di attori ed elementi reali e attori/elementi virtuali: l’acqua, gli oggetti metallici sospesi e la loro interazione con il corpo della performer
Roberta Zanardo convivono con complesse elaborazioni in video 3d del gesto. Anche la sfera musicale si configura come organismo sonoro multiplo: in esso proliferano suoni reali sovrapposti a campionature, vocalizzi rielaborati e sculture sonore in movimento, in un concerto di simboli, tecnologia e minimalismo.
“
La visione”, sostengono i Santasangre, “
è l’inizio e quindi il nucleo creativo. Ciò che ci interessa è la reazione istintiva all’immagine allucinazione, è provocare l’istinto e permettere di stare come si vuole. Genereremo visioni, ci si nutrirà di esse, ci si riposerà in esse, fino ad attuare l’atto di creazione, per vedere gli opposti e farli fondere”. Immagini affascinanti di un corpo ostentato, caos sonori, scenografie digitali, alternanze di colori freddi e caldi si stratificano, pulsando e seguendo il ritmo della vita, culminando con un’inevitabile domanda sull’inizio e sulla fine, intesa come passaggio da un ordine a un altro, in un processo necessariamente ciclico, come quello dell’acqua.